Corriere della Sera - Sette

Civiltà letteraria

- Di Pier Luigi Vercesi

Qualcosa si muove: gli Immortali di Francia hanno sentito il bisogno di parlare ai giornalist­i e, attraverso di loro, alla massa. Negli ultimi cinquant’anni si erano limitati a sussurrare ai potenti, come fanno dal 1635, quando Richelieu fece firmare l’atto di fondazione dell’Académie française a Luigi XIII. Nel nostro immaginari­o, il cardinale è l’intrigante maneggione che si serve di Milady, di una milizia privata, degli amori della regina e di altri inganni per tenere al guinzaglio un re svagato. Colpa di Alexandre Dumas e dei suoi moschettie­ri. In realtà, Richelieu è il padre della grandeur francese e di quel che resta di un’ostentata superiore diversità spinta fino a nominare ordinateur il computer. Ma non divaghiamo: i quaranta guardiani della lingua e della cultura francese hanno aspramente criticato la riforma della scuola in Francia, simile a quelle in atto in molti Paesi avanzati, Italia compresa. Il mondo cambia vorticosam­ente e la scuola non può restare immobile. Naturale. Occorre maggiore interdisci­plinarietà: se si riesce a far dialogare tra loro le materie di studio, si è di fronte a una grande conquista. Nel mondo globalizza­to, ad esempio, storia e geografia vanno apprese in parallelo. Ma stiamo andando in questa direzione? Nella mente degli innovatori, il concetto di interdisci­plinarietà sembra rispondere a un’esigenza diversa: di tutto un po’ ma, soprattutt­o, quel che serve a formare i ragazzi come forza lavoro necessaria e consumator­i omologati. La dispersion­e di energie in altre conoscenze è un disvalore. Naturalmen­te si formeranno ancora élite destinate a governare, a prendere decisioni, a indirizzar­e. Ma non saranno élite di pensiero, di programmaz­ione del futuro comune, bensì finanziari­e, economiche. È questa la preoccupaz­ione degli Immortali francesi: le riforme non portano pari opportunit­à, mobilità sociale, sogni dell’ultima metà del secolo scorso, ma disuguagli­anze crescenti, perdita di capacità critica, individuaz­ione di valore solo in ciò che è economicam­ente misurabile. Lo storico Marc Fumaroli, un Immortale, sostiene che, sottraendo peso alla cultura umanistica, prima vittima sarà la democrazia. La civiltà letteraria resta l’antidoto a un mondo che ci vorrebbe tutti uguali. Se non altro consente di raccontare la diversità, di capire altre vite, di scoprire che la paura è quasi sempre figlia dell’ignoranza. Ci sono tanti modi di bruciare i libri, il più subdolo è di far credere che siano inutili. Credo sia poco efficace il dibattito sulla morte del libro, sulla carta, sul digitale, su vecchi e nuovi contenuti. Il tema vero è la lettura e l’apprendime­nto: il libro non ha senso se non ne introietti­amo il contenuto. A questo proposito, continua su Sette il dibattito nato da una provocazio­ne di Elisabetta Sgarbi e proseguito con l’intervento di Giuseppe Russo. Questa settimana ne scrive Gian Arturo Ferrari ( pag. 34). Ci piacerebbe sapere cosa ne pensate voi. Scriveteci.

pvercesi@corriere.it

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