Civiltà letteraria
Qualcosa si muove: gli Immortali di Francia hanno sentito il bisogno di parlare ai giornalisti e, attraverso di loro, alla massa. Negli ultimi cinquant’anni si erano limitati a sussurrare ai potenti, come fanno dal 1635, quando Richelieu fece firmare l’atto di fondazione dell’Académie française a Luigi XIII. Nel nostro immaginario, il cardinale è l’intrigante maneggione che si serve di Milady, di una milizia privata, degli amori della regina e di altri inganni per tenere al guinzaglio un re svagato. Colpa di Alexandre Dumas e dei suoi moschettieri. In realtà, Richelieu è il padre della grandeur francese e di quel che resta di un’ostentata superiore diversità spinta fino a nominare ordinateur il computer. Ma non divaghiamo: i quaranta guardiani della lingua e della cultura francese hanno aspramente criticato la riforma della scuola in Francia, simile a quelle in atto in molti Paesi avanzati, Italia compresa. Il mondo cambia vorticosamente e la scuola non può restare immobile. Naturale. Occorre maggiore interdisciplinarietà: se si riesce a far dialogare tra loro le materie di studio, si è di fronte a una grande conquista. Nel mondo globalizzato, ad esempio, storia e geografia vanno apprese in parallelo. Ma stiamo andando in questa direzione? Nella mente degli innovatori, il concetto di interdisciplinarietà sembra rispondere a un’esigenza diversa: di tutto un po’ ma, soprattutto, quel che serve a formare i ragazzi come forza lavoro necessaria e consumatori omologati. La dispersione di energie in altre conoscenze è un disvalore. Naturalmente si formeranno ancora élite destinate a governare, a prendere decisioni, a indirizzare. Ma non saranno élite di pensiero, di programmazione del futuro comune, bensì finanziarie, economiche. È questa la preoccupazione degli Immortali francesi: le riforme non portano pari opportunità, mobilità sociale, sogni dell’ultima metà del secolo scorso, ma disuguaglianze crescenti, perdita di capacità critica, individuazione di valore solo in ciò che è economicamente misurabile. Lo storico Marc Fumaroli, un Immortale, sostiene che, sottraendo peso alla cultura umanistica, prima vittima sarà la democrazia. La civiltà letteraria resta l’antidoto a un mondo che ci vorrebbe tutti uguali. Se non altro consente di raccontare la diversità, di capire altre vite, di scoprire che la paura è quasi sempre figlia dell’ignoranza. Ci sono tanti modi di bruciare i libri, il più subdolo è di far credere che siano inutili. Credo sia poco efficace il dibattito sulla morte del libro, sulla carta, sul digitale, su vecchi e nuovi contenuti. Il tema vero è la lettura e l’apprendimento: il libro non ha senso se non ne introiettiamo il contenuto. A questo proposito, continua su Sette il dibattito nato da una provocazione di Elisabetta Sgarbi e proseguito con l’intervento di Giuseppe Russo. Questa settimana ne scrive Gian Arturo Ferrari ( pag. 34). Ci piacerebbe sapere cosa ne pensate voi. Scriveteci.
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