Quando anche i panorami erano bloccati da un timbro
La censura viene istituita quasi subito. Non “passano” le lettere che descrivono le battaglie, né quelle che danno informazioni o notizie allarmanti. Ma neanche le immagini stampate dei paesaggi
Parole per tenere unita l’Italia
Il meccanismo della censura viene spiegato in I servizi postali dell’esercito italiano 19151923 ( edizioni Sirotti) scritto da Beniamino Cadioli e Aldo Cecchi ( il secondo è l’anima dell’Istituto di Studi Storici Postali di Prato che, insieme all’Archivio Storico di Poste Italiane, ha offerto buona parte dei materiali per questa serie di articoli). La censura per la posta dei militari venne istituita il 14 giugno 1915, contemporaneamente al divieto di usare lettere aperte. Il controllo della corrispondenza era effettuato presso il concentramento di Treviso da uno speciale servizio dell’Esercito, all’inizio soprattutto sulle lettere, poi anche sulle cartoline. Dei bolli particolari indicavano la posta controllata. Più avanti, constatate diverse inefficienze del sistema, venne istituito un servizio più capillare, la censura reggimentale, per « evitare la diffusione di notizie allarmanti o concernenti dislocazioni emovimenti di truppe » . Gli uffici non erano certo molto tolleranti. Alcuni esempi si leggono in Plotone d’esecuzione di Enzo Forcella e Alberto Monticone ( Laterza). Si può prendere il caso di A. C., della provincia di Milano, soldato automobilista condannato a sei mesi di carcere militare per lettera denigratoria, nel gennaio 1918. Recita la motivazione della sentenza: « L’A. C. nella lettera diretta ad un amico narrava episodi della ritirata in modo tale da proiettare una luce sinistra sulle operazioni militari compite dal nostro esercito alla fine di ottobre, e riferendo della condanna a morte di due sbandati usava espressioni siffatte da travisare la salutare sanzione del reato, qualificandola “orrendo spettacolo” e scrivendo tra l’altro: “Dopo più di due anni di guerra ove si è perso molti soldati, rovinate famiglie, rovinate le proprie posizioni e sprecato molto denaro, in poche ore si è perso tutto e qualche cosa di peggio, e per sciocchezze che meriterebbero qualche anno di carcere oppure inviarli in trincea vengono fucilati e di questi casi ne succedono ogni giorni. Si discute di fucilazione come se fosse di uccidere un pollo”. Con ciò egli recava grave offesa alla disciplina, denigrando apertamente l’opera della disciplina medesima in un momento in cui, per la salute della Patria ogni estrema sanzione doveva applicarsi allo scopo di mantenere salda la compagine dell’esercito. Vilipendiava dunque il giudicabile l’esercito, disprezzando l’arma più potente che esso ha per garantire sé stesso: il diritto cioè di punire severamente chiunque faccia opera dannosa la rigida unità materiale e morale che è l’ossatura dell’esercito, il suo fondamento e la sua ragion d’essere » .
Attenti controlli. Va ricordato un aspetto particolare: la censura si occupò anche delle cartoline che riportavano panorami delle zone di guerra, soprattutto nei primi tempi del conflitto quando quelle ufficiali, in franchigia, non erano ancora disponibili. Nel volume di Cadioli e Cecchi sono così riportate missive dal testo assolutamente innocente, bloccate, però, perché al verso riproducevano paesaggi dove si combatteva o comunque contigui, ad esempio Bezzecca, Bassano, Vestone.
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