Così Pavese conviveva con Barbara Bouchet
Ricompare sugli scaffali, con nuove storie e fotografie, uno dei libri-cult dell’editorialista del Corriere. Affresco degli anni Settanta vissuti con i suoi occhi da adolescente. Ecco un capitolo, ironicamente e simpaticamente piccante
Nel 1998 esce Italiani si diventa di Beppe Severgnini, autobiografia lieve di un’infanzia e soprattutto di un’adolescenza di provincia anni Settanta che ai comizi preferiva le partite di pallone e l’insostenibile leggerezza delle giornate al bar. Quando il cineforum conviveva con Gustavo Thoeni e Cesare Pavese con Barbara Bouchet. Meraviglie dell'adolescenza. È la storia di un ragazzo dell'abitudinaria borghesia lombarda che diventa uno spaccato di storia d'Italia. Ora il libro di Severgnini torna in libreria con l'aggiunta di oggetti e foto d'epoca (una qui sotto) recuperate dall'autore in "lunghe giornate di speleologia domestica". Segni di un passato che insegna come italiani si diventa. E si rimane. Volenti o nolenti.
I bambini fanno collezione di figurine; ma, dall’adolescenza in poi, un’attrice colpisce più di un terzino destro. Non la chiamerei passione sessuale: la nostra ammirazione era troppo occasionale. E neppure formazione estetica. Le donne dello schermo, infatti, non ci attiravano soltanto per il loro aspetto. C’impartivano anche una rudimentale educazione sentimentale. Il cinema era un supermarket pieno di deliziose impossibilità. Le nostre coetanee — che stavano scoprendo il femminismo, e avevano temporaneamente perso il senso dell’umorismo — non
avrebbero gradito, infatti, d’essere inserite in un catalogo. Le attrici, invece, non potevano farci niente. Non saprei dire chi sia stata la prima. Forse Ornella Muti, intorno al 1972. Il cognome era un’illusione — la ragazza, ogni tanto, parlava— ma l’aspetto era incantevole. A quindici anni i ragazzini si lasciano spesso andare a rudi commenti anatomici, ma sono, in effetti, inguaribili poeti. Ornella Muti ( vero nome, Francesca Rivelli) aveva un viso perfetto, due occhi straordinari e una bocca che faceva sembrare una poesia anche la frase « Che ore sono? » . I suoi punti deboli — la recitazione e la statura, entrambe non eccelse— contavano poco. Nei poster che rallegravano le nostre camere da letto, Ornella Muti fronteggiava spesso Gustavo Thoeni. Era il segno di una doppia ammirazione — atletica ( lo sciatore) ed estetica ( l’attrice) — non di un’indecisione sessuale. Non mi è mai accaduto di sognare le labbra di Gustavo e i quadricipiti di Ornella. Un’altra passione della mia generazione è stata Barbara Bouchet, che non è stata mai una ragazza, ma sempre una signora: la bella mamma di una bella amica, con quello che ne seguiva. Ammetto senza difficoltà che si trattava di una BB di ripiego. L’originale era un’altra cosa, ma su di lei non potevamo avanzare diritti. Brigitte Bardot era appartenuta infatti — in maniera collettiva e forzatamente casta — ai nostri fratelli maggiori. Se ci pensate, è il destino di una generazione. Loro avevano i Beatles, noi i Jethro Tull; loro l’Inter di Suárez, noi quella di Frustalupi; loro— appunto— la BB francese, noi una BB tedesca nata in Cecoslovacchia, e vissuta negli Stati Uniti con un cognome francese ( in realtà si chiamava Bärbel Gutscher). Detto questo, le siamo ancora riconoscenti. Barbara Bouchet aveva un nome intonato allo spirito del tempo — chiamavi « Barbara! » nel 1972, e arrivava una