Diamo un calcio alle barriere
L’ultima sfida di Inter Campus è stata aprire il primo campo dove alle partite settimanali partecipano ragazzini ebrei e palestinesi
icevere lettere come questa è la dimostrazione di come resista — al di là degli orrori che il mondo ci mostra ogni giorno — l’aspirazione ad abbattere barriere materiali e spirituali. Scrive un italiano che studia in Israele: « Dalla bella e santa Gerusalemme dove vivo leggo spesso Ponti& Muri, e credo che la storia dei bambini di Inter Campus Israel& Palestine possa essere per voi una piccola gioia. Molti ( ancora troppo pochi), nei modi più diversi, provano a creare spazi di condivisione e di socialità tra la realtà palestinese e quella israeliana, spazi di confronto tanto auspicabili quanto assenti, soprattutto tra i giovani. Lo dico perché anni fa partecipai a un progetto educativo in una scuola palestinese basato sul confronto e la cooperazione tra i due popoli. Avevo dunque sperimentato, prima di imbattermi nell’avventura di Inter Campus, la spinosa via della coesistenza costellata di pregiudizi, paure, traumi. In seguito la società F. C. Internazionale, dall’inizio della gestione Moratti, ha iniziato a portare scuole di calcio ed educatori giovanili nelle più disparate zone del mondo ( più di 28 Stati) con lo scopo di creare
Rponti dove regnano i muri. Ed è proprio un ponte nella “Terra dei Muri” l’obiettivo di Inter Campus Israel& Palestine. All’inizio, fino all’apertura della sede di Gerusalemme, eravamo presenti in due villaggi della Cisgiordania palestinese, in uno arabo- israeliano, in uno a sud di Tel Aviv nel quartiere disagiato che accoglie gli immigrati sudanesi ed eritrei, e in un kibbutz. Allenamenti settimanali, educazione sportiva, un evento al mese in cui i bambini di ogni centro passano giornate insieme, si conoscono vestendo i colori nerazzurri e giocando lo sport più popolare del mondo. L’ultima sfida è stata aprire il primo campo in cui agli incontri settimanali partecipassero ragazzini di entrambi i popoli. A Gerusalemme infatti, si sa, israeliani ebrei e palestinesi convivono nel medesimo spazio fisico. La prima volta tutti insieme pareva la triste rappresentazione della nostra città. I bambini correvano sullo stesso campo però io, l’allenatore, sentivo una barriera tra loro: non si parlavano, non si passavano mai il pallone, non esultavano ai gol, erano visibilmente a disagio quando li forzavo a esercitarsi a coppie “miste”. Ma l’ultimo incontro si è chiuso con una fotografia di gruppo e un piccolo palestinese che ci spiegava il Ramadan ( il motivo per cui interrompevamo gli allenamenti). Poi lo scambio di contatti tra genitori, emozionati, imbarazzati, impreparati, tuttavia decisi a continuare. E io — Arturo Cohen, 22 anni, da Milano — con loro, e con i miei bimbi di Inter Campus Gerusalemme » .
di Roberto Burchielli