Quando la verità deve essere messa a riposo
l dissimulare (“nascondere” la verità) è sempre da condannare? Oppure esistono circostanze in cui la dissimulazione si rende necessaria? A questi interrogativi cerca di dare una risposta un importante trattatello intitolato Della dissimulazione onesta ( Napoli 1641). Qui – il poeta e filosofo Accetto, della cui vita si sa ben poco – fa tesoro della sua attività di “segretario”
« Basterà dunque il discorrer della dissimulazione, in modo che sia appresa nel suo sincero significato, non essendo altro il dissimulare, che un velo composto di tenebre oneste e di rispetti violenti: da che non si forma il falso, ma si dà qualche riposo al vero, per dimostrarlo a tempo » .
Iper teorizzare la “dissimulazione onesta”: si tratta di « un velo composto di tenebre oneste » e di « rispetti violenti » ( regole da imporre, con forza, soprattutto a se stessi). Chi pratica questo tipo di dissimulazione, insomma, non « forma il falso » ma, invece, « dà qualche riposo al vero, per dimostrarlo a tempo » . Detto in altri termini: talvolta la verità ha bisogno di essere messa « a riposo » , protetta con « tenebre oneste » , fino a quando i tempi non saranno maturi per farla risplendere alla luce del sole. L’autore pensa, in particolar modo, ai rapporti con chi comanda: « Orrendi mostri son que’ potenti, che divorano la sostanza di chi lor soggiace » . E chi è « in pericolo di tanta disaventura, non ha meglior mezzo di rimediar » che « nasconder i beni esterni » e, principalmente, « que’ dell’animo » ; perché « la virtù, che si nasconde a tempo, vince se stessa » . Chi detiene il potere immeritatamente, si sa, « ha sospetto d’ogni capo dove abita la sapienza » . In questi casi « è virtù sopra virtù, il dissimular la virtù » . Per sfuggire alle ritorsioni del tiranno, per « non offender la vista inferma dell’invidia e dell’altrui timore » , è lecito occultare le proprie qualità e il proprio pensiero ( XIX). Così la dissimulazione onesta, in un’epoca segnata dalla dominazione spagnola, diventa un’arte lecita che – se usata, con prudenza, in chiave difensiva e non offensiva – può trasformarsi addirittura in una virtù. Non a caso Benedetto Croce, dopo quasi tre secoli di oblio, ripubblicò questo trattato nel 1928, durante l’acuirsi della violenza fascista.