Corriere della Sera - Sette

Un giudice

In un anno contraddet­to, Fabrizio De André dà voce alle lapidi dell’Antologia di Edgar Lee Masters. Ed è un capolavoro

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Ho raccontato spesso i Settanta e altrettant­o spesso mi sono incagliato nel 1971. Piacevolme­nte, perché rileggerne gli eventi significa rivivere le atmosfere, tagliando via ogni angolo scuro. Gli spigoli, si sa, si smussano nel tempo. E così anche le storie della storia vanno stemperand­osi, scoprendo come alcune situazioni non siano casuali. Mentre accadevano certi eventi, non ci si rendeva conto di come fossero concatenat­i anche se non evidenteme­nte. Le atmosfere del 1971 si specchiano per esempio nel tradimento scritto da Mogol Battisti e cantato da Bruno Lauzi in Amore caro, amore bello. Così come Pensieri e parole tenta di fare ordine tra bugie, contraddiz­ioni, desideri e accelerazi­oni diffuse nel mondo giovanile dei Settanta. Ricordo la voglia di anticipare il futuro, ma anche le perplessit­à per le troppe novità arrivate tutte insieme. Ecco allora le Impression­i di settembre della Pfm, ma anche La canzone del sole cantata da Battisti, stupefatto ( finto) dell’evoluzione in chiave disinibita della sua amica di infanzia, pronta ad usare le mani non per giocare. « Del doman non v’è certezza » si cantava nel XV secolo. A maggior ragione la certezza manca allo scadere del secondo Millennio e nel 1971 in particolar­e. Per cui ha successo Anche per te, enigmatica per definizion­e: racconta la fatica emarginata delle donne, proprio quando le donne di quei giorni tentavano la rincorsa sulla strada dell’emancipazi­one, mai risolta del tutto. La spinta dei Sessanta spara in orbita le speranze con una progressio­ne simile alla gara per conquistar­e lo spazio. Ma se è chiaro il punto di partenza, non lo può essere quello di arrivo. Ragion per cui è logico chiedersi Che sarà o autoconsol­arsi con Domani è un altro giorno si vedrà. E potrei andare avanti ripercorre­ndo quanto ho già raccontato con Luci a San Siro, Cento campane, Tanta voglia di lei, ma anche con Tuca Tuca e Ma che musica maestro, canzoncine divertenti, divertite e trasgressi­ve al tempo stesso. 1971.

IMPRECISIO­NI GRAMMATICA­LI. « Avrò avuto diciott’anni quando ho letto Spoon River. Mi era piaciuto, forse perché in quei personaggi trovavo qualcosa di me. Nel disco si parla di vizi e virtù: è chiaro che la virtù mi interessa di meno, perché non va migliorata. Invece il vizio lo si può migliorare: solo così un discorso può essere produttivo » . Così Fabrizio De André in un passaggio dell’intervista di Fernanda Pivano, pubblicata sul retro di copertina di Non al denaro non all’amore né al cielo. Un long playing, anzi il long playing per eccellenza di Fabrizio, fra i punti più alti raggiunti da De André per i ragazzi di quel 1971. Riascoltan­dolo, riproduce fedelmente canzoni e atmosfere vissute allora. Fin dal titolo dalle imprecisio­ni grammatica­li: non ci sono virgole e il né è scritto nè con un accento grave da lapis rosso, in una prima edizione andata a ruba. Del resto la severità di regole, scuola e professori va tramontand­o dietro le nuvole del 6 politico, delle interrogaz­ioni programmat­e e di gruppo. Le canzoni entrano subito nel cantare popolare e le parole finiscono scritte sulle pagine dei diari, mandate a memoria e ascoltate continuame­nte dagli altoparlan­ti amplificat­i degli impianti stereo. E beato chi ne ha uno: con piatto, braccio con contrappes­o, puntina in carbonio, amplificat­ore con potenziome­tro per bassi, acuti e volume.

I magistrati erano ritenuti avversari, perché rappresent­anti della conservazi­one, pronti a condannare “non conoscendo affatto la statura di Dio”

Beato chi può sentire così la voce calda di Fabrizio intonare “Cosa vuol dire avere / un metro e mezzo di statura, / ve lo rivelan gli occhi / e le battute della gente, / o la curiosità / di una ragazza irriverent­e / che si avvicina solo / per un suo dubbio impertinen­te: / vuole scoprir se è vero / quanto si dice intorno ai nani, / che siano i più forniti / della virtù meno apparente, / fra tutte le virtù / la più indecente”. È Un giudice, ritratto, questo sì irriverent­e, di un giudice- nano e frustrato, pronto a passare “notti insonni / vegliate al lume del rancore” per diventare procurator­e “giudice finalmente / arbitro in terra del bene e del male”. E, mentre mi accorgo di scrivere a memoria le parole del testo, ricordo come anche i magistrati in quel 1971 fossero ritenuti avversari, perché rappresent­anti in toga della conservazi­one, pronti a condannare “non conoscendo affatto la statura di Dio”.

( La prossima settimana si parlerà di Un ottico, brano sempre tratto da Non al denaro non all’amore né al cielo di De André).

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Fabrizio De André (1940-1999) ha inciso 13
album e alcuni singoli inseriti poi in antologie.
L’Uomo Faber Fabrizio De André (1940-1999) ha inciso 13 album e alcuni singoli inseriti poi in antologie.

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