Il primo italo-americano
Gli Alberti erano una
famiglia di banchieri
fiorentini, ma un ramo
della famiglia ebbe gloria a
Venezia. Se a Firenze Leon
Battista Alberti fu una delle
figure al vertice del Rina-
scimento, si sa poco invece
della straordinaria vita del
veneziano Pietro Cesare
Alberti. Nasce nel 1608,
figlio del segretario del
tesoro ducale. Durante una
delle più gravi emergenze
di pirateria nell’Adriatico, la
Serenissima chiede aiuto
agli olandesi, ma la guar-
nigione che si stabilisce
a Malamocco diffonde
la peste che decima gli
abitanti di Venezia. Quando
ripartono, il giovane Alberti
si aggrega agli olandesi e
ottiene d’essere imbarca-
to per New Amsterdam,
fondata in America dalla
Compagnia Olandese delle
Indie Occidentali. Litiga
con il capitano della nave e
viene abbandonato ai Ca-
raibi, vince la causa e con
il risarcimento raggiunge
quella che diventerà New
York, dove trova moglie e
ottiene la concessione di
un vasto appezzamento
nell’attuale Brooklyn per
l’allevamento di bovini. Gli
affari vanno così bene che
Alberti riesce ad acquistare
metà Manhattan, anche
per i buoni rapporti con gli
indiani. Vi coltiva il tabacco.
Ma 20 anni dopo scoppia
la Peach War, provocata
dall’uccisione da parte
di un colono olandese
di un’indiana che aveva
rubato una pesca. La
guerra sarà alla fine
vinta dagli olandesi, ma
la famiglia Alberti viene
massacrata dagli indiani.
Alberti di Malamocco fu
quindi il primo “italoa-
mericano” e ogni anno
il 2 giugno a New York si
celebra l’Albert Day. continente. Poi scanno dopo scanno, ha salutato il mare e si è trasformata in centro rurale. Ma d’altronde l’intera valle padana è figlia di questo giochino idraulico- geologico. E Venezia è diventata Venezia perché ha mutato il gioco, o la lotta, tra acqua e terra in potere e ricchezza. « Quando è nato questo ramo convogliava il 65 per cento della portata del fiume, ora ne trasporta il 5 per cento » , dice Gigi mostrando delle fotocopie sgualcite di carte veneziane della fine del Cinquecento. « Dal Po di Maistra si staccavano altri rami che andavano a insabbiare la laguna di Venezia. Così nel 1600 in quattro anni e con settemila uomini crearono un’opera faraonica, il Taglio di Po, costringendo il corso del fiume a virare verso Sud, dove depositò nuovi sedimenti dai quali emersero nuove terre e nuovi possedimenti per i nobili della Serenissima. Capite che qui, come si mischiano terra e acqua, così non è chiaro se sia stata la geografia a fare la storia o viceversa… » .
La Repubblica dei castori. Gigi vuole dirci, insomma, che per raccontare davvero il Po controcorrente, non bisogna cominciare dal faro delle bocche della Pila, la New Orleans del nostro Old Man River, dove esala l’ultimo respiro dopo 650 chilometri; ma che bisogna partire addirittura dal campanile di piazza San Marco, dai serenissimi ingegneri idraulici e dai loro più tristi epigoni del Mose. E in effetti è quello che è accaduto. Infatti questo viaggio di Sette nasce sulla traccia di una pista ciclabile pensata dal professor Paolo Pileri e dalla sua squadra del Politecnico di Milano ( vedi box a pag. 32) che collega Venezia e Torino: il progetto che ilGuardian ha definito “una svolta epocale per un Paese auto- dipendente” si chiama appunto VenTo, ma potrebbe chiamarsi MuMu, perché parte dai Murazzi del Lido per arrivare ai Murazzi di Torino e si sviluppa interamente su terreno demaniale, 679 chilometri, percorrendo, dal Delta in poi, gli argini del Po. Un’opera che costa solo un centinaio di milioni di euro, come due chilometri di autostrada BreBeMi per capirsi, ma che potrebbe diventare la Ciclostrada del Sole del Terzo millennio; e il Po, dopo decenni di oblio e angherie, si merita di essere riscoperto pian piano, pedalata dopo pedalata. Con gentilezza. Come si faceva