Quell’esercito di generali e ammiragli accusati (in segreto) di interessi privati
Dana Pittard, generale a due stelle dell’esercito americano, vicecapo delle operazioni Usa in Medio Oriente, era considerato un astro nascente del Pentagono. Ma la sua parabola si era interrotta tre anni fa e nell’aprile scorso l’alto ufficiale è rientrato in patria, lasciando il comando Usa in Kuwait. Il sito web dell’Esercito lo registra ancora come “numero due”, ma il Washington Post si è messo a indagare e, ottenuti documenti riservati attraverso un uso sapiente del “Freedom of Information Act”, una legge che cerca di aiutare il giornalismo investigativo, ha scoperto che Pittard è sotto inchiesta da tre anni: aveva avuto incarichi di responsabilità, compreso quello dell’addestramento delle forze armate dell’Iraq, ma anche molto potere nella gestione di grossi appalti. Finiti spesso a suoi cari amici. Apparentemente il generale ha fatto dei favori senza guadagnarci, ma tanto è bastato: reprimenda e pensionamento anticipato. Senza denunce e condanne ufficiali, visto che non erano state scoperte frodi. Lo scoop del giornale della capitale ha fatto però emergere che il Pentagono è già stato scosso da numerosi casi di corruzione, quasi sempre messi a tacere per evitare scandali. La Marina l’anno scorso ha scoperto un caso di corruzione: un ammiraglio responsabile dei movimenti della Flotta del Pacifico, sorpreso a dirottare navi verso porti asiatici nei quali c’erano i cantieri degli “amici”. Sono partite inchieste a raffica e a febbraio la Navy è stata costretta ad ammettere di aver censurato tre ammiragli, anche se si è rifiutata di identificarli e non ha specificato le azioni per le quali sono stati puniti. E, ancora, l’esercito ha comunicato il pensionamento “per ragioni di salute e personali” del generale Sean Mulholland, comandante delle Operazioni Speciali in Centro e Sud America: scoperto spesso ubriaco in pubblico.