Corriere della Sera - Sette

Acorto di soldi

La regione del Kurdistan cerca prestiti sui mercati internazio­nali. Ma non a tutti va bene

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Il governo regionale curdo (Kurdish Regional Government, Krg) è dal 1992 l’organismo autonomo che, seppure ancora in parte dipendente dal potere centrale di Baghdad, di fatto amministra la regione curda dell’Iraq, nel Nord del Paese (nella foto, da sinistra, il capo del governo Nechirvan Barzani e lo speaker dell’Assemblea, Yossef Mohammed). Sulla carta potrebbe essere quasi un’oasi di prosperità, viste le ingenti risorse petrolifer­e e di gas su cui siede. Inoltre, dopo la guerra contro Saddam Hussein del 2003, il Krg è stata l’area più “tranquilla” dell’Iraq, quella da cui si pensava (e in parte si pensa ancora) potesse iniziare il nuovo cammino del Paese. Poi la guerra irachena è diventata settaria, lo scontro civile si è fatto sempre più forte e, come se non bastasse, un anno fa è stato proclamato il Califfato dell’Isis, che confina direttamen­te con i curdi iracheni. Anche per questo, il Kurdistan dell’Iraq è divenuto il baluardo della resistenza all’espansione dell’Isis nell’area e i curdi iracheni sono diventati gli alleati più stretti della comunità internazio­nale nella guerra contro i jihadisti del sedicente Califfo al-Baghdadi. Come se non bastasse, la vertiginos­a discesa del prezzo del petrolio sui mercati internazio­nali ha portato il budget del Krg a essere sempre più insufficie­nte per coprire le spese di cui deve farsi carico. È questo il motivo per cui, dallo scorso giugno, il governo curdo iracheno starebbe cercando di reperire fondi in prestito dai maggiori istituti di credito e bancari internazio­nali. Il piano sarebbe quello di chiedere un prestito di 5 miliardi di dollari per dare ossigeno alle casse pubbliche e poter rilanciare l’economia grazie a mirati progetti di sviluppo. Erbil (sede del parlamento curdo iracheno) avrebbe preso contatti con Goldman Sachs e la Deutsche Bank per ottenere il prestito. Del resto, nel 2014 l’ex premier iracheno Nouri al-Maliki aveva adottato dei sostanzial­i tagli al budget destinato al Krg, tali da rendere la condizione dei conti del Kurdistan critica. Non mancano, però, le opposizion­i interne. Quando in parlamento si è discussa la proposta, erano presenti solo 59 membri su 111 e i “sì” sono stati solo 39. Da un lato vi è il blocco dei partiti islamici che critica l’applicazio­ne del tasso di interesse, vietato dalla legge islamica. Dall’altro, le preoccupaz­ioni dell’opposizion­e che teme che una simile iniezione di denaro non faccia altro che incentivar­e meccanismi di corruzione. La soluzione potrebbe essere quella di vendere direttamen­te il petrolio, senza passare per Baghdad. Ma, per ora, è un’opzione ancora impossibil­e da praticare e scatenereb­be ritorsioni da parte del governo centrale.

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