Ezio Vanoni, la riscoperta dello Stato
«È il senso della sua parabola economico-politica», dice Giovanni Bazoli, «che andrebbe riportata alla luce»
Caro professore, 30 anni fa nasceva a Milano il Gruppo Etica e Finanza, cenacolo di intellettuali e banchieri cattolici che studia il rapporto tra politica ed economia. Lei che è stato tra i fondatori mi indichi un personaggio dal quale ha tratto ispirazione e che merita di essere riscoperto. « Ezio Vanoni, economista valtellinese che fu ministro delle Finanze ( nel governo De Gasperi) e del Bilancio ( nel governo Fanfani). Non l’ho conosciuto personalmente, ero ragazzo quando egli operava. Tuttavia da giovane fui colpito dalla sua figura. All’epoca seguivo con passione le vicende politiche, anche per motivi familiari » . Nella sua famiglia si è respirato politica da sempre: suo nonno, Luigi, fu tra i fondatori del Partito popolare e suo padre Stefano era deputato della Dc all’Assemblea costituente. Torniamo a Vanoni. « “Il popolo italiano odia lo Stato”, ha scritto di recente Eugenio Scalfari. Questa avversione allo Stato è, a mio giudizio, uno dei problemi fondamentali dell’Italia. Un popolo che considera lo Stato ( o qualunque istituzione pubblica) come un’entità ostile, non potrà mai far crescere in sé una “coscienza civile”, né concepire dei beni come “comuni”, né coltivare l’idea della giustizia. L’Italia non potrà avere un futuro finché non sarà superata questa condizione di immaturità civile e democratica » .
L’avversione dei cittadini verso lo Stato ha motivazioni legate alla storia.
« Tralasciando il passato, indico due ragioni d’attualità. La prima consiste nell’opinione diffusa tra la gente ( legittimata dai tanti scandali) che molti uomini pubblici non servano ma approfittino dello Stato; la seconda nel fatto che lo Stato sia identificato con il fisco e il fisco sia ritenuto dalla maggior parte degli italiani come un nemico da cui difendersi. La testimonianza di Vanoni va riportata alla luce perché contrasta questo diffuso atteggiamento ostile verso lo Stato. Da un lato, infatti, offre il modello virtuoso di un politico che si è dedicato con tutte le sue forze al servizio dello Stato ( sino a sacrificare “sul campo” la sua vita: come Nino Andreatta). Vanoni fu insignito della medaglia d’oro al valore civile perché, pur gravemente malato, rifiutò ogni consiglio di riposo e morì in Parlamento, per infarto, dopo un appassionato discorso in Senato. D’altro lato va ricordato che Vanoni nel 1951 fu l’artefice della grande riforma tributaria che aveva tra i punti fondamentali l’obbligo della dichiarazione annuale dei redditi. Con la sua riforma, lui voleva allineare il nostro sistema agli ordinamenti più evoluti, ma soprattutto mirava ad avvicinare il cittadino allo Stato, introducendo un elemento di fiducia proprio su un terreno, come è quello fiscale, dove è inevitabile una contrapposizione di interessi. Se questo risultato non è stato raggiunto, le ragioni ideali e morali che hanno ispirato quella riforma conservano piena validità » .