Viaggio controcorrente alle origini del Po, dove la terra si mescola all’acqua e gli uccelli stanno sotto i pesci
A lla fine, quando ci siamo seduti a pelo di Po per uno spritz al dehors del glorioso Imbarco del Re— vista sui ponti, sul Monte dei Cappuccini e sulla collina torinese — la signora Graziella che gestisce il barristorante da Perosino ed è la regina mai deposta del fiume (“a 18 anni seminavo gli spasimanti vogando con il mio canoin controcorrente”) ci ha chiesto, pensando di metterci in crisi: « Qual è il posto che vi è rimasto nel cuore? » . Tutti quattro abbiamo guardato il Po con disincanto, perché vederlo scorrere lì davanti al Valentino, così sontuoso, cortese e aristocratico, così consapevole, nonostante la sua giovane età, di far parte dell’élite dei fiumi che specchiano le più belle città del mondo, ci sembrava troppo sofisticato e troppo contemporaneo, quasi una cartolina digitale. Noi venivamo invece da un viaggio esotico, da luoghi stranieri, lontani, appartati. Si potrebbe dire anacronistici se non fosse che il mondo che vive lungo fiumi dalla personalità intensa come il Po se ne infischia di stare al passo con i tempi, ma ha un suo tempo. E sta a chi vi si affaccia d’entrarci in sincronia. Insomma noi avevamo esplorato un fiume sconosciuto, quasi italiani in terra forestiera; avendolo poi percorso controcorrente per seicento e passa chilometri, cioè a ritroso nella sua tormentata esistenza, avevamo la presunzione di averne ricostruito e percepito il carattere e la natura più autentici; diversamente dagli spasimanti della signora Graziella, ci sembravadi aver conquistatoquel che inseguivamo. Tanto che tutti quattro, cercando nella mente il posto che più ci aveva emozionato, l’esperienza che meglio poteva sintetizzare il senso profondo della nostra avventura, siamo tornati quasi all’alfa del viaggio. Dove il Grande Fiume s’appresta ad andare a morire ed esprime al massimo — in uno dei molti rami, anzi nel più piccolo, con cui raggiunge la pace in Adriatico