I gioielli che riuscirono a sedurre anche d’Annunzio
«Più sono difficili da fare, più difficili sono da imitare», è il principio dei creatori di anelli e collane della maison, diventati oggetti del desiderio anche del Vate. Che li usava per le sue conquiste amorose
Buccellati
Ne La Notte di Antonioni, il padrone annuncia a un suo dipendente, tale Pontano, impersonato da Mastroianni: « Vorrei fare una pubblicazione sulla nostra azienda » . Venendo all’oggi, nel caso la ditta sia attiva da almeno tre- quattro generazioni, si può star sicuri che nel volume nascente ci sarà posto per una qualche lettera di Gabriele d’Annunzio: immaginifica, fiorita, coltissima e laudativa al massimo grado. Si trattasse di salami o di lenzuola, di stilografiche o di lame, il Vate non si risparmiava: prendeva carta e penna elaborando uno “storico” ringraziamento per i proprietari che l’avevano rifornito di questo o quel bene ( naturalmente la pregiata missiva copriva il pagamento di qualunque cifra). Nel caso dei gioielli, l’impegno dannunziano si centuplicava. Ovvio, allora, che la più raffinata maison italiana conservi un carteggio degno del Vittoriale. « Quel tuo braccialetto traforato suscitò entusiasmi quasi lacrimosi in chi l’ebbe. Squisito è l’anello eterno coi miei due colori araldici: il rosso e il blu. Tutti siamo in crisi, ahimè! Ritirai l’effetto a Rovereto. Ti prego di ricordarmi la data della seconda scadenza. L’ho smarrita » . Così scrive Gabriele al “caro Mario” il 14 luglio 1927. E aggiunge poi, per dare al senso brutale della dilazione un tocco volitivo in sintonia col tempo del regime: « Ti mando oggi queste 10.000 lire. Non ho altro. Pazienza e ardire » . Il “caro Mario” è Mario Buccellati, orafo con bottega in largo Santa Margherita a Milano. Si sono conosciuti nel 1922, quando il secondo ha aperto da tre anni l’esercizio commerciale, rilevando il fondo dove ha lavorato da apprendista per la ditta Beltrami e Besnati, orafi anche loro.
Origini storiche. Il cognome, peraltro, indica un ottimo pedigree, visto che, già nel Settecento, un Contardo Buccellati operava a Milano come artigiano argentiere, iscritto alla contrada degli orafi e autore di pezzi pregevoli conservati e ammirati fino ad oggi, contraddistinti da un marchio a testa di moro. E Mario ne onora rapidamente la memoria incontrando un immediato successo: non solo domestico ( largo Santa Margherita è nel cuore della città, fra Scala, Galleria e Duomo, il negozio diviene “il salotto del salotto di Milano”) ma anche internazionale, visto che partecipa a