Corriere della Sera - Sette

Alpinismo e politica, la battaglia delle vette

Sin dall’unità d’Italia la contesa delle cime tra Austria e Italia creò le premesse di duri scontri in quota. E ancora oggi è caccia ai reperti

- di Lorenzo Cremonesi

Ci fu un’epoca, tutto sommato non troppi decenni fa, in cui le Alpi orientali dall’Adamello al Carso erano ancora cosparse di resti della Grande guerra. Trincee, casematte, mucchi di legna, brandelli macerati di uniformi, baraccamen­ti, fili spinati, schegge di bombe, arsenali interi, cavi di teleferich­e, cassette sfondate, elmetti, artiglieri­e rugginose, fucili intatti o a pezzi puntellava­no le conche, segnavano le creste, annerivano i ghiacciai, specie a fine estate, quando la neve si ritira ed emerge il corpo intimo di ghiaccio verde solcato dai crepacci. Erano rottami di un conflitto che aveva abitato le montagne per un ampio raggio di cime, altopiani e vallate dal maggio 1915 alla ritirata di Caporetto due anni e cinque mesi dopo. Ne parlo per memoria e conoscenza diretta. E in ricordo di mio padre 86enne appena deceduto ( era nato a Milano nel 1929), il quale per tutta la mia infanzia e giovinezza fece dell’alpinismo il fulcro delle nostre vacanze e in realtà di quasi tutto il tempo libero a sua disposizio­ne. Iscritto al Club Alpino Italiano ( Cai) sin dai tempi dell’università, fece parte della generazion­e di frequentat­ori italiani delle montagne affacciata­si nell’immediato secondo dopoguerra, quando il primo conflitto mondiale era terminato da meno di un trentennio. Se ricerco tra i meandri dei ricordi, i diari di famiglia e le fotografie scattate durante le nostre escursioni nel periodo compreso tra la metà degli anni Sessanta e il 1980 mi viene automatico ribadire un concetto che allora ci appariva molto evidente: la Grande guerra fu parte integrante della tradizione alpinistic­a italiana, ne forgiò lo spirito, i valori, le canzoni; fu all’origine dei materiali e le tecniche di progressio­ne su roccia come su ghiaccio, oltre a quelle di costruzion­e modulare di rifugi e bivacchi d’alta quota; improntò di sé i sistemi di soccorso, l’alimentazi­one, la cartografi­a; contribuì a far costruire i percorsi delle mulattiere più ardite, dei sentieri, delle vie ferrate, molte delle quali seguivano fedelmente i tracciati di quelle costru- ite dagli Alpini o dalle truppe austro- ungariche nelle zone più impervie e rocciose del vecchio fronte. Non solo. In verità, sin dall’unità d’Italia proprio dal mondo del Cai e delle associazio­ni alpinistic­he erano venuti quegli slanci di ardore patriottic­o e di studio, oltre che difesa, del territorio che serviranno poi alla propaganda interventi­sta contro l’Austria per puntellate la scelta di cambiare alleanze e scendere in campo a fianco di Francia e Inghilterr­a. Non a caso già nel 1876 Vienna aveva decretato le attività della Sat ( l’Associazio­ne degli alpinisti trentini) « illegali » , in quanto considerat­e focolai di opposizion­e politica e di agitazione antiaustri­aca. Le Alpi erano il confine naturale del Paese e quelle orientali apparivano nell’ethos dell’epoca come deturpate, offese e violate dall’estensione verso il lago di Garda del territorio austriaco. Nell’era del nazionalis­mo imperante, gli alpinisti italiani e i gruppi legati al Cai si percepivan­o un poco come le avanguardi­e del movimento di pensiero che concepiva la prossima guerra con l’Austria come l’inevitabil­e completame­nto del Risorgimen­to per il controllo delle “cime irredente”. Non a caso, e questo è solo un esempio tra i tanti, la sezione del Cai Milano nell’estate del 1913 organizzav­a assieme al Touring Club Italiano una gita sociale nel Cadore con oltre mille iscritti che per quattro giorni si snodava lungo « l’ingiusto confine » ( così si leggeva nelle locandine propagandi­stiche del tempo) con il fine esplicito di far conoscere ai giovani « un lembo di terra italica » . Alpinismo e politica si fondevano in un connubio solidale.

La guerra delle bandiere. Nel periodo appena prima lo scoppio delle ostilità il 24 maggio 1915 crebbe così quella che lo storico Alessandro Pastore ( autore tra l’altro di Alpinismo e Storia d’Italia) ha definito la « guerra delle bandiere » . Fu una sorta di competizio­ne sportivona­zionalista tra gli alpinisti sui due lati del vecchio fronte che facevano a gara per piantare sulle cime il vessillo del loro Paese a scapito di quello degli altri. Celebre nel 1905 era stata la gara per accaparrar­si idealmente Cima Tosa, battezzata nel 1905 “Kaiser Franz Joseph- Spitze”

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