Quale classico per un’adolescente?
Buzzati o Fenoglio, l’attesa o l’incoscienza della gioventù. Per una Italian doc, che vive all’estero, parla tre lingue e vuole conoscere la nostra cultura
Caro Beppe, sono un classico Italian, con residenza e figli nati all’estero. L’italiano lo parlano in famiglia e vedono un po’ di televisione nostrana; ma a scuola e con gli amici usano tedesco, inglese, spagnolo. Con mia sorpresa, la figlia mi ha chiesto «un bel libro italiano da portare in vacanza». Che faccio? Se le consiglio un classico della letteratura, e sbaglio titolo, c’è il rischio che la ragazza lo trovi noioso. Se il libro è scritto in un italiano ricercato e richiede uno sforzo eccessivo, ti assicuro che finisce direttamente in giardino (vicino alle ortiche). Se invece il libro è semplice, ma piatto, non lascerà traccia. E perderei l’unica chance di avvicinare mia figlia adolescente alla cultura italiana. Insomma: aiuto!
Aiuto!, lo dico io, Giorgio. Bella responsabilità. Non potevi chiedermi un parere sul salvataggio della Grecia o sul nucleare iraniano? Be’, ci provo. Il primo titolo che mi viene in mente è Il deserto dei tartari di Dino Buzzati. È un libro sull’attesa, una materia in cui gli adolescenti sono specialisti. Non c’è bisogno che tu spieghi alla figliola che la Fortezza Bastiani, nelle intenzioni dell’autore, è un’allegoria del Corriere della Sera in via Solferino. Il romanzo è un classico; e i classici sono in grado di dire cose nuove a ogni generazione. Rapido, immediato, scritto in una lingua poetica e croccante ( combinazione rara). Un’altra possibilità: Una questione privata di Beppe Fenoglio. Un libro sull’incoscienza e la magia della gioventù; il romanzo sulla Resistenza che tutti avrebbero voluto scrivere. Poiché anche questo è un testo breve, puoi provare a suggerirli tutt’e due. Se non le piacessero, chiedo scusa ( a te, alla figliola, alle ortiche). Se invece funzionassero, ti autorizzo a prenderti il merito ( il caldo fa diventare generosi pure i giornalisti: questa è bella).
Mammechiocce da esportazione
Caro Beppe e cari Italians, da padre di tre bambini intorno ai 10 anni seguo divertito il recente dibattito sull’educazione familiare. Voglio sfatare il mito delle mamme italiane protettive fino all’ossessione: non sono un fenomeno confinato alla nostra penisola. In Italia ci saranno pure “Mamme Chiocce”, ma negli USA spopolano le “Helicopter Moms” (mamme-elicottero). Il termine mi piace di più: evoca un elicottero della polizia che ti segue a bassa quota...
Bruno Soffientino bruno@mail.uri.edu
E vogliamo parlare dei Papà- Harrier? Genitori a decollo verticale: piombano sull’obiettivo ( familiare), fanno un gran baccano e risalgono verso il cielo delle proprie convinzioni, convinti di aver risolto il problema.
L’importante è farsi capire
Caro Beppe, Lei quando sente il nostro Primo Ministro parlare questa strana lingua pensa che l’Italia faccia una bella figura? Ho visto il video del discorso che Matteo Renzi ha tenuto in Etiopia a metà luglio, in inglese (?): mamma mia! Come si fa a prendere sul serio un politico così? Non si potrebbe approvare una legge che vieta la carriera politica d’alto livello a chi non parla bene almeno una lingua straniera? Gradirei un suo commento. Grazie. Ho ascoltato parte di quel discorso, non avevo bisogno di conferme: nelle occasioni ufficiali, il nostro PMfarebbe meglio a parlare italiano. Nel caso di Addis Abeba si trattava, evidentemente, di un testo scritto da altri ( fino a poche ore prima MR era a Bruxelles « impegnato a salvare l’Europa » - parole sue). Leggere l’inglese è complicato. Sbagliando gli accenti, si rende difficile la comprensione. Renzi, per esempio, ha visto scritto “delay” ( ritardo) e ha detto, per due volte, “dìlei”. Si pronuncia, invece, “di- lèi”. Non solo: essendo fiorentino, tende a pronunciare correttamente ogni vocale. Ma l’inglese è una lingua “stress- timed”: la velocità di pronuncia non si basa sul numero di sillabe in una parola, ma sul numero di accenti con i quali chi parla sceglie di scandirla. Prendiamo la parola “maintenance” (“manutenzione”, un problema italiano non da poco). Si pronuncia “méin- tenèns” - due accenti, non cinque. Detto ciò, l’inglese di Matteo Renzi non è malvagio. Non somiglia a quello di Enrico Letta o Giuliano Amato, certo; ma neppure a quello ( inesistente) di Berlusconi. L’uomo capisce e si fa capire: e questo, nei rapporti tra capi di governo, è fondamentale. Dovrebbe forse essere più umile, quando si tratta di occasioni ufficiali. Ma la modestia non fa parte del suo bagaglio, mi sembra di poter dire.