Protette dalle tenebre, Aida abbraccia Tosca sul palco dell’Arena
Dopoinizia un l’uscita lavoro del di pubblico squadra dove nessuno può sbagliare: scenografie studiate al centimetro si muovono come nel paese dei balocchi
Abbiamo passato una notte nel teatro all’aperto più famoso del mondo
“N uovi edifici pericolanti”. È questa la traduzione di “Einstürzende Neubauten”, nome di uno dei gruppi europei più “alternativi” degli ultimi trent’anni. Cantano la precarietà delle nuove architetture in cui abitiamo, anche simbolicamente: gli edifici di una postmodernità che non ha margini se non quelli del presente, che si accorcia sempre di più. Il tutto come metafora di un tempo, il nostro, che non sa appunto né edificare né, tantomeno, conservare, in nome di un “nuovo” che stenta assai ad assumere una fisionomia e un indirizzo, una strada. E proprio loro, i “Nuovi edifici pericolanti” mi vengono in mente, per contrapposizione assoluta, stridente, con la magia dell’Arena di Verona, un edificio costruito nel primo secolo dopo Cristo che è ancora qua, e vivo. Vivo da sbalordire. E infatti, sbalordire è il suo compito direi istituzionale, compito a cui assolve egregiamente, piccolo e assieme mastodontico miracolo di tenuta in un mondo che si percepisce come perennemente sottoposto a uno sgretolamento che ha per misura tempi brevi, brevissimi.
Luogo sacro. L’Arena è l’eccezione che conferma bellamente la regola. La giovane Arena che da duemila anni ci stupisce. Duemila anni travagliati, come travagliati sono sempre i millenni e le umane sorti. Poco sappiamo dei suoi albori. Certo era, come il Colosseo, ciò che è tutt’ora: un edificio a fine ludico collettivo, dove è fortemente sottolineato il senso della comunità. E se nell’antica Roma era quella del popolo tutto, nei suoi vari ordini sociali, dall’imperatore alla plebe, oggi ne mantiene in qualche modo la tendenza anche grazie alla diversificazione delle sue proposte: dalla reunion storica ( diciamo così) di Albano e Romina, vero even-
to nazionalpopolare come lo si può intendere nel 2015, al concerto del grande David Gilmor dei Pink Floyd ( assieme a U2 e Rolling Stones sicuramente il gruppo più celebre del pianeta) passando per l’inedita e strepitosa coppia Battiato e Antony, esibitisi proprio all’Arena due anni fa, fino agli intramontabili quanto bizzarri miti degli Anni 70 che rispondono al nome di Kiss, che all’Arena si sono esibiti, oramai trasgressivi vecchietti, deliziando un pubblico di quarantenni felicemente accompagnati dai figli “travestiti”, per l’evento, da Kiss in miniatura, quasi gadget viventi e compiaciuti di un effimero che ha fatto però un pezzetto di storia. Ma questo è in fondo l’aspetto secondario dell’Arena, potremmo dire “l’altro aspetto”. La sua sacralità, il suo es- sere perno mondiale di uno stupore che si rigenera stagione per stagione è l’opera lirica. Oggetto alieno per molti, salvo poi conoscerne praticamente dalla nascita le arie più celebri, esattamente come accade per l’Aida di Verdi. Prendiamo la Carmen di Bizet: davvero tutti ne conoscono, e quasi integralmente, le arie. Per non dire del Va’ pensiero, ancora di Verdi. Certo non tutti sanno che viene dal Nabucco, né cosa sia il Nabucco. Ma tant’è. Consciamente o inconsciamente, l’Opera lirica è patrimonio mondiale e l’Arena con il suo Festival lirico né è una delle massime espressioni mondiali. Ne abbiamo vissuto tutto il fermento, l’attività nei giorni a cavallo tra l’allestimento dell’Aida di Verdi diretta da Franco Zeffirelli e la Tosca di Puccini diretta da Hugo de