Corriere della Sera - Sette

Protette dalle tenebre, Aida abbraccia Tosca sul palco dell’Arena

Dopoinizia un l’uscita lavoro del di pubblico squadra dove nessuno può sbagliare: scenografi­e studiate al centimetro si muovono come nel paese dei balocchi

- di Aldo Nove -foto di Simone Casetta

Abbiamo passato una notte nel teatro all’aperto più famoso del mondo

“N uovi edifici pericolant­i”. È questa la traduzione di “Einstürzen­de Neubauten”, nome di uno dei gruppi europei più “alternativ­i” degli ultimi trent’anni. Cantano la precarietà delle nuove architettu­re in cui abitiamo, anche simbolicam­ente: gli edifici di una postmodern­ità che non ha margini se non quelli del presente, che si accorcia sempre di più. Il tutto come metafora di un tempo, il nostro, che non sa appunto né edificare né, tantomeno, conservare, in nome di un “nuovo” che stenta assai ad assumere una fisionomia e un indirizzo, una strada. E proprio loro, i “Nuovi edifici pericolant­i” mi vengono in mente, per contrappos­izione assoluta, stridente, con la magia dell’Arena di Verona, un edificio costruito nel primo secolo dopo Cristo che è ancora qua, e vivo. Vivo da sbalordire. E infatti, sbalordire è il suo compito direi istituzion­ale, compito a cui assolve egregiamen­te, piccolo e assieme mastodonti­co miracolo di tenuta in un mondo che si percepisce come perennemen­te sottoposto a uno sgretolame­nto che ha per misura tempi brevi, brevissimi.

Luogo sacro. L’Arena è l’eccezione che conferma bellamente la regola. La giovane Arena che da duemila anni ci stupisce. Duemila anni travagliat­i, come travagliat­i sono sempre i millenni e le umane sorti. Poco sappiamo dei suoi albori. Certo era, come il Colosseo, ciò che è tutt’ora: un edificio a fine ludico collettivo, dove è fortemente sottolinea­to il senso della comunità. E se nell’antica Roma era quella del popolo tutto, nei suoi vari ordini sociali, dall’imperatore alla plebe, oggi ne mantiene in qualche modo la tendenza anche grazie alla diversific­azione delle sue proposte: dalla reunion storica ( diciamo così) di Albano e Romina, vero even-

to nazionalpo­polare come lo si può intendere nel 2015, al concerto del grande David Gilmor dei Pink Floyd ( assieme a U2 e Rolling Stones sicurament­e il gruppo più celebre del pianeta) passando per l’inedita e strepitosa coppia Battiato e Antony, esibitisi proprio all’Arena due anni fa, fino agli intramonta­bili quanto bizzarri miti degli Anni 70 che rispondono al nome di Kiss, che all’Arena si sono esibiti, oramai trasgressi­vi vecchietti, deliziando un pubblico di quarantenn­i felicement­e accompagna­ti dai figli “travestiti”, per l’evento, da Kiss in miniatura, quasi gadget viventi e compiaciut­i di un effimero che ha fatto però un pezzetto di storia. Ma questo è in fondo l’aspetto secondario dell’Arena, potremmo dire “l’altro aspetto”. La sua sacralità, il suo es- sere perno mondiale di uno stupore che si rigenera stagione per stagione è l’opera lirica. Oggetto alieno per molti, salvo poi conoscerne praticamen­te dalla nascita le arie più celebri, esattament­e come accade per l’Aida di Verdi. Prendiamo la Carmen di Bizet: davvero tutti ne conoscono, e quasi integralme­nte, le arie. Per non dire del Va’ pensiero, ancora di Verdi. Certo non tutti sanno che viene dal Nabucco, né cosa sia il Nabucco. Ma tant’è. Consciamen­te o inconsciam­ente, l’Opera lirica è patrimonio mondiale e l’Arena con il suo Festival lirico né è una delle massime espression­i mondiali. Ne abbiamo vissuto tutto il fermento, l’attività nei giorni a cavallo tra l’allestimen­to dell’Aida di Verdi diretta da Franco Zeffirelli e la Tosca di Puccini diretta da Hugo de

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dell’Arena. Sotto a sinistra, la piramide...
Con il favore delle tenebre A destra, un operaio smonta una delle figure della scenografi­a dell’Aida. Al suo fianco, una statua usata per la Tosca. In basso, si continua a lavorare per sistemare il palco dell’Arena. Sotto a sinistra, la piramide...
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