I rischi del muro
Tunisi, sotto l’attacco dei jihadisti, traccia una linea al confine con la Libia. Basterà?
Dopo gli attentati del Bardo e di Sousse, la Tunisia corre ai ripari per tentare di arginare il problema terrorismo. Secondo quanto riferito dalle fonti di intelligence, gli attentatori erano di nazionalità tunisina, ma avevano precedentemente passato un periodo di “addestramento” nella confinante Libia. È qui, infatti, che si concentrano maggiormente – complice la situazione di caos politico determinata dall’esistenza di due governi contrapposti che competono per la legittimità e da centinaia di milizie armate – i gruppi jihadisti nordafricani. Proprio dal confine con la Libia, dunque, parte la nuova strategia antiterroristica di Tunisi, che però di “nuovo” ha ben poco. La soluzione proposta, infatti, insieme alla proclamazione dello stato d’emergenza, è stata quella di costruire un muro lungo il confine, per porre fine al passaggio di armi e uomini che potrebbero poi ritorcersi contro la Tunisia. Tale scelta presenta diverse problematiche, sia dal punto di vista pratico che di opportunità politica. Per ciò che concerne aspetti più materiali, la difficoltà consiste nel fatto che si tratti di un confine lungo circa 500 chilometri e che è caratterizzato da deserto e montagne. Secondo quanto dichiarato dal primo ministro Habib Essid, la fase della costruzione sarebbe già partita e il governo avrebbe individuato sette compagnie private per realizzarla, per un investimento totale di circa 70 milioni di euro. Dovrebbe poi seguire una seconda fase in cui il muro verrà dotato di sistemi di sorveglianza elettronici. Ma il vero nodo è quello politico: si può continuare a immaginare misure di contrasto al terrorismo basate solo sul fattore militare? Se da un lato è vero che il confine con la Libia è diventato centrale per garantire la sicurezza (mentre solo fino a qualche mese fa era il confine con l’Algeria a essere più sensibile, per via delle infiltrazioni da parte di al-Qaeda nel Maghreb islamico), è altrettanto vero che le cause profonde della radicalizzazione siano anche socioeconomiche. Migliorare le condizioni di vita e lo sviluppo delle aree più periferiche, in questo senso, potrebbe aiutare a sconfiggere il terrorismo. I due fattori si intrecciano perfettamente proprio a Ben Guerdane, cittadina al confine libico, con livelli di povertà e disoccupazione ben al di sopra della media nazionale, dove gli abitanti traggono sostentamento dal miliardo di dollari di merci contrabbandate annualmente proprio dalla Libia. Il muro bloccherebbe anche questa forma di economia sommersa. Sicuro che ciò non contribuisca a inimicarsi la simpatia della popolazione locale, piuttosto che a coinvolgerla nella lotta al terrorismo?