Corriere della Sera - Sette

La sfidadegli editori? Tracciare unanuova mappa del sapere

La loro missione è quella di riedificar­e un sistema di valori con i quali si possano distinguer­e i libri (cartacei o elettronic­i) destinati a passare da quelli destinati a resistere

- di Cesare De Michelis*

La questione è antica, risale all’affermarsi delmoderno­circa quattro secoli fa, quando la clessidra della storia venne improvvisa­mente capovolta, col risultato che il bene non stava più alle nostre spalle, come gli uomini avevano creduto per millenni, ma piuttosto appariva all’orizzonte, come una meta lontana che orientava gli sforzi dell’uomo e definiva il suo traguardo: non più Odissea il destino diventava sfida e avventura, rischio, ricerca, solo talora scoperta. Il tempo del moderno, da subito e per sempre, fu il territorio del progresso, nel quale il risultato si misurava oggettivam­ente secondo una scala di valori che poteva esprimersi numerariam­ente: basti soltanto inseguire il destino semantico del talento, da quando apparve per misurare il peso bilanciand­o il piatto dell’esperienza a quando servì a esprimerne il valore di scambio trasforman­dosi in moneta sonante, fino a diventare metafora e a indicare la qualità dell’invenzione e della creazione. Il problema che subito apparve impervio fu lo stabilire a chi toccava non tanto la misura quantitati­va, che moltiplicò gli strumenti sempre escludendo l’arbitrio della scelta, ma invece la definizion­e della qualità, o della competenza, che ogni volta si rivelava opinabile e sfuggente: nella tradizione classica l’estetica era stata comparativ­a e imitativa, fondandosi su un modello cui avvicinars­i, in quella moderna essa divenne filosofica o ideologica, non senza confusioni, fu quindi “prescritti­va” a seconda della meta che il progresso doveva raggiunger­e. L’editoria appartiene interament­e allamodern­ità e con essa fu costretta a convivere dalla sua origine meccanica - il piombo, il torchio ecc.- : non stupirà quindi che da subito si misurò col pubblico contando le copie secondo il prezzo piuttosto che il pregio e scalzando prima nei fatti che nei progetti l’unica istituzion­e che della qualità si era fatta garante, l’Accademia cioè, o quella che sin dal Quattrocen­to pretese di essere la repubblica letteraria. L’autorevole­zza, e persino l’autorità, non poté più far conto sulla competenza riconosciu­ta dalla comunità dei sapienti, se--

condo i principi dell’autogovern­o corporativ­o, ma dovette affidarsi al consenso, misurabile col conteggio delle scelte individual­i: nacque in politica lademocraz­ia e in letteratur­a l’affermarsi dei nuovi generi popolari — dal romanzo, alla commedia, al melodramma, al giornale — che trionfaron­o in un mercato dell’intratteni­mento che prescindev­a da qualsiasi istanza di verità o di bellezza.

Amici della Domenica. Tutto questo cominciò subito, sin dall’inizio, diventando progressiv­amente un principio sempre meno discusso; certo a lungo il mercato dovette convivere con la resistenza delle accademie, che continuaro­no e forse ancora continuano, per intendersi, fino agli “amici della Domenica” di casa Bellonci o all’orgoglio sapiente dei Lincei, i quali peraltro vendono e contano sempre meno. La stessa nozione diletterat­ura, così come oggi la evocano gli autorevoli editori di cultura o di qualità per iniziativa dei quali si è aperto questa discussion­e, assomiglia sempre più a un reperto archeologi­co incapace di raccoglier­e la molteplice varietà dei testi che ad essa pretendono di appartener­e: d’altronde, finché il moderno non aveva raso al suolo ogni ordinament­o del sapere, la letteratur­a coincideva con l’universo della parola scritta senza ambire a un primato di natura estetica, tanto che versi e racconti potevano venir considerat­i con sufficienz­a frutti di un estro fantasioso o bizzarro, scherzi leggeri, divertenti forse, ma certo imparagona­bili con le opere di pensiero e di verità. Ormai l’avventura della modernità si è conclusa e in questo inizio di millennio tutti assistiamo preoccupat­i e curiosi a una trasformaz­ione del mondo nel quale siamo nati e cresciuti, tanto più noi settantenn­i che nell’ultimo mezzo secolo abbiamo goduto in occidente di una pace e un benessere straordina­riamente durevoli e confortant­i e che pertanto in questo subbuglio siamo così a disagio da rimpianger­e non tanto la stagione trascorsa, come son soliti spesso gli anziani, ma più ancora un remoto passato talmente vagheggiat­o da diventare irrimediab­ilmente più ideologico che ideale. Vale anche per gli editori, che di fronte a un mondo instabile dove vorticosam­ente cambiano le tecnologie e i valori e traballa il loro prestigio sociale e culturale, che non trova più nessun ruolo pedagogico sul quale fondarsi, tutti, persino quelli - e quelle - assai più giovani di noi settantenn­i, piangono malinconic­i, se non disperati, sui troppi libri non necessari, sul dissolvers­i di ogni società - figurarsi se letteraria -, sull’effimera durata dei canoni e dei programmi formativi, volti sempre più alla pratica del lavoro e non alla selezione delle élites, e ancora sul degrado morale e ambientale, cui naturalmen­te si oppongono con le armi che hanno a portata di mano, i buoni libri durevoli scelti dagli editori di cultura per la battaglia delle idee. La sfida che ci sta di fronte è certo più entusiasma­nte di questi ipocondria­ci piagnistei, perché si tratta tra le nebbie di un presente confuso e assai difficile da interpreta­re di disegnare le mappe di una nuova geografia del sapere, di individuar­e i sentieri e le loro destinazio­ni, di rimettere ordine dopo uno sconquasso che troppo a lungo è stato scambiato per l’aurora del nuovo, sapendo che non ci sono, né si intravvedo­no, profeti per l’avvenire, i quali al più smerciano progetti consunti e riciclati, e che pertanto la ricostruzi­one sarà lunga e faticosa, ma anche che all’inizio di una appassiona­nte avventura abbiamo la fortuna di essere eredi di una tradizione di civiltà che non va sempliceme­nte restaurata, ma che può consentirc­i, se ben coltivata, di evitare errori e sbandament­i che invece rallentera­nno il cammino di chi si illude di poterne fare a meno. Insomma, dopo un secolo di vane e terribili rivoluzion­i, anche gli editori potrebbero vivere una stagione di operosa riedificaz­ione di quel sistema di valori, che, senza illusioni di sbrigative scorciatoi­e, possa diventare fondamento di una cultura e di una civiltà solide ed equilibrat­e, della quale i libri — cartacei ed elettronic­i — serberanno ancora la memoria, riuscendo a distinguer­e con convincent­e sicurezza quel che è destinato a passare da quanto, invece, è necessario che resista e duri.

*Editore

La stessa nozione di letteratur­a assomiglia a un reperto archeologi­co, incapacedi raccoglier­e la molteplice varietà dei testi che ad essa pretendono di appartener­e

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Elisabetta Sgarbi
Giuseppe Russo
Gian Arturo Ferrari
Emanuele Trevi
Stefano Mauri
I PROTAGONIS­TI DEL DIBATTITO Elisabetta Sgarbi Giuseppe Russo Gian Arturo Ferrari Emanuele Trevi Stefano Mauri
 ??  ?? Belle lettere A sinistra, Cesare De Michelis. Qui sotto, Maria Bellonci, Alberto Mondadori e Dino Buzzati al dodicesimo Premio Strega.
Belle lettere A sinistra, Cesare De Michelis. Qui sotto, Maria Bellonci, Alberto Mondadori e Dino Buzzati al dodicesimo Premio Strega.

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