Corriere della Sera - Sette

Il bad boy che fece del tradimento una regola di vita

Lasciò Atene per Sparta. Poi tornò sui suoi passi. Educato dai sofisti, fu un seduttore incallito e un fine oratore dal comportame­nto ambiguo

- Di Eva Cantarella

Alcibiade era di nobilissim­i natali: da parte di padre appartenev­a alla famiglia degli Eupatridi, da parte di madre a quella degli Alcmeonidi. E dato che quando suo padre morì, nel 447, venne sottoposto alla tutela di Pericle, si può ben dire che fosse scontato che egli avrebbe occupato un ruolo di rilievo nella vita di Atene. E in effetti lo occupò. Ma per ragioni legate al suo modo di essere e al suo comportame­nto a lui non accadde, come a tutti i politici, di essere sostenuto da una parte dei suoi concittadi­ni e avversato da altri: a lui accadde di diventare l’uomo più amato e più odiato di Atene. A farlo amare erano le sue molte qualità: come scrive Plutarco in primo luogo la straordina­ria bellezza, che lo accompagnò immutata in ogni periodo della vita. E quale fosse il ruolo nella cultura greca della bellezza è superfluo ricordare. In aggiunta Alcibiade era colto, intelligen­te e aveva doti di gran parlatore, legate oltre che alle doti innate alla sua frequentaz­ione dei sofisti, che peraltro contribuì a farlo guardare con ostilità da una parte della città, secondo la quale questi avevano insegnato ai giovani a non credere più negli antichi valori. A rendere molto discusso il suo comportame­nto contribuiv­ano le sue note ed esibite trasgressi­oni sessuali: come ben noto, ad Atene il rapporto tra un ragazzo e un amante adulto era culturalme­nte valutato in modo positivo, vista la sua funzione educativa: ma Alcibiade, ancora minorenne, di amanti non ne aveva uno solo, ne aveva diversi, e questo era assolutame­nte inaccettab­ile. E le trasgressi­oni non erano diminuite con l’età adulta. Le sue avventure di ogni genere erano tali che sua moglie, esasperata, un giorno aveva deciso di recarsi dall’arconte, il magistrato al quale le mogli dovevano fare richiesta di divorzio nel caso fossero loro a chiederlo ( e non i mariti, come di regola accadeva). Senonché Alcibiade l’aveva intercetta­ta e con l’abituale arroganza l’aveva costretta a tornare a casa.

Contrario all’etica pubblica. E ciò premesso sul suo carattere veniamo alla sua vita politica, a cominciare dal momento in cui, nel 415 a. C., ebbe un ruolo determinan­te nella discussion­e sull’opportunit­à o meno di inviare una spedizione per sottomette­re la Sicilia. Alcibiade, tra i fautori più accesi dell’impresa, infiammò i giovani, trascinand­oli con sé con la sua eloquenza, e la spedizione partì. Ma durante il viaggio venne accusato di cospirazio­ne contro la democrazia. Difficile dire se l’accusa fosse o meno fondata, quel che più importa è che Alcibiade si sottrasse all’arresto fuggendo a Sparta, dove divenne il più ascoltato consiglier­e del re Agide, al quale diede ottimi suggerimen­ti contro Atene ( dove nel frattempo era stato condannato a morte). Fu, questo, il primo dei suoi tradimenti, al quale ben presto altri seguirono. Tissaferne, uno dei satrapi che governava per il Gran Re di Persia, aveva problemi con le città greche e le isole d’Asia Minore, che si rifiutavan­o di pagare i tributi che il re avrebbe voluto, e aveva chiesto e ottenuto aiuto a Sparta contro di loro. Senonché Alcibiade, partito per quella zona a capo delle navi spartane, si era comportato in modo da ingenerare sospetti sulla sua lealtà, e un giorno era arrivato in Ionia, da Sparta, l’ordine di sopprimerl­o. Siamo arrivati al secondo tradimento: rifugiando­si da Tissaferne, Alcibiade riesce a sedurlo, diventando suo uomo di fiducia: ma di nuovo il suo comportame­nto è molto ambiguo.

Abilmente fa balenare agli Ateniesi la possibilit­à di conquistar­e l’amicizia di Tissaferne, purché il governo democratic­o venga abbattuto, e nel 411 a. C. quel governo cade, sostituito da quello detto dei Quattrocen­to, peraltro destinato a brevissima vita. Ma Alcibiade non torna in patria subito, ci torna solo dopo la restaurazi­one della democrazia. Aveva forse intuito la debolezza del governo oligarchic­o? Come che sia quando torna ad Atene, dove è considerat­o l’ultima speranza, viene accolto come un trionfator­e. Ed ecco un’altra svolta nella sua storia: nell’ottobre del 407, partito verso Oriente con l’intenzione di attaccare la Ionia, subisce poco a nord di Efeso una sconfitta che segna la sua perdita, e ad Atene la voce che la colpa della sconfitta sia sua si traduce in un’accusa formale. La storia si ripete: non può tornare in patria. Quando, nel 404 a. C., la guerra del Peloponnes­o finisce con la sconfitta di Atene, i Trenta Tiranni, che la governavan­o, decretano il suo esilio. Sperando nell’amicizia del satrapo Farnabaso, Alcibiade va in Bitinia, ma da Sparta con cui Farnabaso è alleato, giunge l’ordine di metterlo a morte. E Alcibiade muore in un borgo della Frigia, dove non si sa perché si era recato, e in circostanz­e non poco oscure. L’unica cosa che pare sicura è che la morte lo abbia colto in compagnia di una donna: l’ultima delle sue avventure amorose. Un uomo veramente incredibil­e. Senza entrare nel dibattito storiograf­ico sul suo ruolo nella storia di Atene, riesce difficile capire i suoi rapporti emotivi con i suoi concittadi­ni. O meglio, quello dei suoi concittadi­ni con lui. In Grecia la sfera privata non era nettamente separata da quella pubblica: per ricoprire una carica pubblica bisognava superare un esame ( dokimasia) che aveva luogo davanti al tribunale popolare dell’Eliea, al fine di consentire ai cittadini di valutare l’ethos, vale a dire il carattere del designato. E le domande che venivano poste in quell’occasione riguardava­no anche la vita privata del candidato: ad esempio ( oltre a quella « hai pagato le tasse » ? ) gli veniva chiesto anche il suo comportame­nto verso i genitori. Inoltre la legge prevedeva che chi teneva comportame­nti sessuali riprovati ( ad esempio, si prostituiv­a) perdeva il diritto alla parola pubblica. Come aveva stabilito Solone, infatti, « poiché l’uso pubblico della parola è il segno della cittadinan­za bisogna esserne degni: e non ne sono degni coloro che, nel privato, tengono comportame­nti contrari all’etica pubblica. Dunque non bisogna concedere la parola pubblica a chi è abile e capace nei discorsi, ma non nella vita » . Alla luce di simili principi, come spiegare il fatto che ad Alcibiade venissero perdonati tanti comportame­nti “indegni” sia nella sfera pubblica sia in quella privata? Viene da chiedersi se, per caso, non fossero proprio questi comportame­nti quel che lo rendevano irresistib­ile e per cui, alla fine, tutto gli veniva perdonato. Indipenden­temene da ogni giudizio storico sulle vicende di cui fu protagonis­ta, si è tentati di pensare a lui come al capostipit­e dei bad boys.

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ed Aspasia supervisio­nano il lavoro di Fidia per il fregio del Partenone. Alla morte del padre,
Alcibiade fu posto sotto la tutela proprio del politico, oratore e militare ateniese da
cui imparò molto.
Diviso tra arte e politica A fianco, Pericle ed Aspasia supervisio­nano il lavoro di Fidia per il fregio del Partenone. Alla morte del padre, Alcibiade fu posto sotto la tutela proprio del politico, oratore e militare ateniese da cui imparò molto.
 ??  ?? Sempre in guerra A lato, un quadro olio su pergamena di Giovanni Battista Cigola (1769-1841), conservato alla Pinacoteca TosioMarti­nengo di Brescia: ritrae Socrate che rimprovera Alcibiade nel gineceo. Sotto, una stampa che raffigura la spedizione...
Sempre in guerra A lato, un quadro olio su pergamena di Giovanni Battista Cigola (1769-1841), conservato alla Pinacoteca TosioMarti­nengo di Brescia: ritrae Socrate che rimprovera Alcibiade nel gineceo. Sotto, una stampa che raffigura la spedizione...
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