Il padre che perse l’anima per salvare quella di Hitler
Ideatore della via dei ratti per far fuggire i gerarchi tedeschi in Sud America, Alois Hudal coltivava un progetto: convertire i nazisti
Dario Fertilio racconta il rapporto tra la Chiesa e il Führer
In giacca e cravatta un distinto quarantenne, entrò verso l’ora di pranzo del 16 ottobre 1943, nello studio del vescovo Alois Hudal, rettore di Santa Maria dell’Anima, la chiesa nazionale tedesca a Roma. Non si sedette nemmeno e interrogò il prelato se avesse avuto notizia di quello che stava accadendo nel ghetto dalle 5 e 15 di quella mattina: era in atto un rastrellamento di cittadini italiani di religione ebraica. Carlo Pacelli — era di lui che si trattava —, nipote di Pio XII, propose al monsignore di prendere immediatamente la penna per chiedere all’alto comando militare tedesco di « porre un termine agli arresti in nome delle buone relazioni con il Vaticano » . Come mai il papa, per metter fine a quell’orrore, si rivolge proprio a Hudal? E come mai alla sera, dopo la richiesta consegnata precipitosamente, venne sospesa la feroce razzia? Muovendosi tra fiction e verità storica, Dario Fertilio, ne L’anima del Führer, ricostruisce l’intrigante e misteriosa vicenda nel bel libro il cui sottotitolo recita Il vescovo Hudal e la fuga dei nazisti in Sud America ( Marsilio editore, pp. 216, 16,50 euro). Già, proprio così: l’uomo di Chiesa nato in Austria fu anche uno degli organizzatori della cosiddetta “via dei ratti” o rattenlinie. Il primo contatto per organizzare la futura partenza dei criminali con la svastica verso più ospitali lidi, spiega lo scrittore, avvenne già nel 1943, pochi giorni prima dell’incursione nel ghetto. Il capo dei servizi segreti tedeschi in Italia, il colonnello Walther Rauff che pote- va vantare l’invenzione delle Gaswagen, gli autobus della morte su cui venivano stipati ebrei e altri prigionieri, fece visita al vescovo: in previsione del crollo del Reich, propose a Hudal di cominciare a preparare documenti falsi e passaggi transoceanici per comandanti e ufficiali delle SS. Nella narrazione di Fertilio, tra spie e colpi di scena, gioca un ruolo im- portante la figura di un soldato del Reich, anche lui realmente esistito, che, nato a Königsberg, all’età di 17 anni era riuscito ad arruolarsi nell’Armata Rossa: nel dopoguerra venne inviato a Roma dai capi sovietici per prendere contatti con il vescovo e smascherare la rete di connivenze che aiutava i fedelissimi di Hitler. Come mai quel prelato che viveva assai appartato ebbe ruoli di primo piano e stretti rapporti con i nazisti, tanto da poter avanzare la richiesta, coronata da successo, di sospendere lo sterminio degli ebrei romani? Il teologo e studioso Hudal si era impegnato con saggi e discettazioni in un importante sforzo di elaborazione: voleva « cristianizzare il nazionalsocialismo e utilizzarlo come una barriera di fronte all’ateismo sovietico » . Aveva sposato interamente la causa nazista.
Negli scantinati della memoria. Terminato il conflitto mondiale favorì l’espatrio di feroci persecutori come Franz Stangl, comandante dei campi di Sobibor e di Treblinka, che, dopo aver ucciso più di 900 mila persone, riparò in Brasile e venne riportato in Europa e assicurato alla giustizia dal grande Simon Wiesenthal. Hudal non abbandonò mai le proprie convinzioni e sostenne sempre che considerava cosa buona e giusta salvare i ricercati tedeschi dalle persecuzioni degli alleati. Con questi ultimi e con i loro servizi segreti, il Vaticano collaborò alla fine degli anni Quaranta, proteggendo anch’esso gli ex carnefici del Führer. L’imbarazzante figura di padre Hudal è finita per decenni negli scantinati della memoria, complici anche gli inconfessabili maneggi dello Stato Pontificio: meglio mettere da parte l’inquietante personaggio che per salvare l’anima di Hitler aveva finito per perdere la sua e gettare fango e ignominia sulla Chiesa.