Corriere della Sera - Sette

La dinastia dei vermicelli che rese gustosa la pasta

Lui barbiere, lei ricamatric­e. Cambiano vita e, nel 1828 a Sansepolcr­o, diventano pastai. Con la scoperta del glutine danno vita alla “carne vegetale”. È un successo. Bissato all’Expo di Parigi con gli spaghetti

- di Enrico Mannucci

Era ancora il tempo in cui per andare da Sansepolcr­o a Città di Castello bisognava passare una frontiera. E non era neanche il maggiore dei problemi, visto che lungo la strada poteva anche capitare di fare uno sfortunato incontro con qualche banda di briganti. Cominciò fra queste due cittadine una saga familiar- industrial­e lunga quasi due secoli. Si sarebbe estesa presto, prima coinvolgen­do le zone contigue, poi, addirittur­a, attraverso il mondo, superando oceani e toccando nuovi continenti. Erano abbastanza avanti con gli anni ( lui, a 58 anni, per allora era addirittur­a vecchio) Giovan Battista Buitoni e la moglie Giulia Boninsegni quando decisero di inventarsi un nuovo mestiere, lasciando progressiv­amente i precedenti, di barbiere e di ricamatric­e. Sansepolcr­ini entrambi, scoprirono che in pieno centro cittadino, in via della Fiorenzuol­a, c’era un pastaio che aveva deciso di abbandonar­e l’attività e metteva in affitto il laboratori­o. Il 15 luglio 1828 firmarono il contratto con Antonio Betti e si buttarono nell’avventura, ipotecando gran parte dei loro averi. Non erano degli sconsidera­ti, però, e si preoccupar­ono di far arrivare da Genova un tecnico per regolare il funzioname­nto dell’essiccatri­ce. I primi prodotti erano presentati così in un catalogo dei primordi: « vermicelli color paglierino, delicati, sodi al dente dopo la cottura » . Infatti, Giovanni Battista entrò nella corporazio­ne dei “vermicella­i”. Era stata una delle ultime a nascere: loro specifica abilità era prevedere che tempo avrebbe fatto regolando così l’umidità degli ambienti dove la pasta era lasciata a seccare. Nel contratto figurava anche un locale affacciato sulla piazza del Borgo. Venne subito usato come bottega, con il grande banco in noce, i lunghi scaffali, le stadere appese al soffitto e, in fondo, due torchi a vite per la trafilatur­a della pasta. In realtà, ci si vendeva di tutto ( a credito come usava, segnando le spese sui quaderni dalla copertina nera e talvolta andando incontro a spinosi problemi per recuperare il dovuto): burro e candele, spezie, farina, petrolio e anche qualcosa che negli antichi inventari figura come “caviale”. Non è questa, presumibil­mente, la merce più richiesta, comunque gli affari vanno bene e, in capo a due anni, i coniugi sono già in grado di riscattare i macchinari affittati dal Betti. Poco prima della scomparsa, nel 1841, Giovanni Battista suggerisce al figlio Giovanni di aprire un secondo pastificio

a Città di Castello. La distanza è di qualche chilometro, , ma cambia addirittur­a lo Stato. L’Italia, sia pure per pochi anni, non è ancora unita: mentre Sansepolcr­o fa parte del Granducato di Toscana, il nuovo stabilimen­to si troverebbe nello Stato Pontificio, e, soprattutt­o, in una zona priva di concorrenz­a. Ci vorranno dieci anni per concludere l’affare e lì, a curare la ditta, andrà Giuseppe, il terzogenit­o della seconda generazion­e. A Sansepolcr­o, intanto, le proprietà Buitoni sono cresciute, con nuove botteghe e una produzione di pasta che raggiunge i 10 quintali al giorno. Cresce anche l’impegno della famiglia nei confronti della comunità: quando nel 1865 il Comune inaugura un nuovo servizio d’illuminazi­one con venti lampioni a olio minerale, sono i Buitoni a fornire il combustibi­le. Del resto, l’azienda ha una particolar­e attenzione per tutto quel che riguarda l’energia, fondamenta­le per la produzione. Alla fine del 1880 ( un anno prima l’impresa ha cambiato nome, passando da Giovanni Battista Buitoni a Giovanni Buitoni e Fratelli), viene inaugurato un nuovo stabilimen­to a San Leo e lì Giovanni riesce a installare anche un mulino spinto da un impianto elettrico. In effetti, Sansepolcr­o è una delle prime città italiane a sfruttare il nuovo tipo di illuminazi­one urbana. L’ 8 settembre 1892, in occasione del quartoq centenario della morte di PieroP della Francesca,Francesca si accende così l a piazza intitolata all’artista. Quando,d nel 1900, concorrono alla creazionez di una centrale idroelettr­ica suls Tevere, a Montedogli­o, i Buitoni si possonop a buon diritto considerar­e i r re did Sansepolcr­o. Quello, però, è il perio odo in cui si mettono le basi per un imperoo che andràmolto oltre i confini umbro- toscani.i

Piaceva anche a Puccini. Il successo strepitoso arriva grazie a qualcosa che oggi sarebbe guardato con una certa diffidenza. Esecrato, anzi, almeno da una parte dei possibili clienti. Invece, al tempo, divenne alimento fondamenta­le per milioni di famiglie italiane che vivevano ai confini dell’assoluta povertà, che non potevano permetters­i di portare in tavola ogni giorno – né per sé, né, soprattutt­o, per i loro bambini – le ‘“fettine” di manzo oppure altre vivande ricche di proteine. Un deficit che ( almeno in certa misura) quel prodotto era in grado di surrogare. Tant’è vero che, negli azzeccati slogan con cui venne propaganda­ta la “Pastina Buitoni”, fu spesso battezzata “carne vegetale” o, direttamen­te, “pollo”. Si trattava del glutine. Anzi, della pasta “iperglutin­ata”, come ordinava espressame­nte Giacomo Puccini ( « 4 o 5 chili a lungo taglio o a corto... » ) in una lettera del 1916 indirizzat­a al “sig. Buitoni”. Peraltro, elemento fondamenta­le – sia detto subito, a scanso di equivoci – per fare la pasta come la conosciamo noi italiani ( ovvero, la pasta per definizion­e): in base ai disciplina­ri oggi in vigore, dentro la migliore, quella di grano tenero tipo 00, deve comparire, in percen- tuale, per almeno il 7%. La “scoperta” – nel senso di valorizzaz­ione – del glutine, fino ad allora considerat­o sostanza di scarto, va a merito di Giovanni Buitoni ( e segnerà, come abbiamo visto, l’intero mondo della pasta nazionale). Intorno alla metà del secolo, l’idea gli viene leggendo De Frumento, un libro di Jacopo Bartolomei Baccari, bolognese, nato nel 1682, considerat­o da alcuni il padre della chimica moderna. Lì, accanto a sentenze memorabili - ad esempio: « Cosa siamo, se non ciò che mangiamo » – si descrive come separare il glutine dall’amido, ovvero impastando con acqua la farina di grano e poi spremendo la parte liquida attraverso un telo di lino. Dall’idea si passa al progetto, poi cominciano i lunghi esperiment­i. Nell’antico stabilimen­to gli operai stavano in una vasca a lavorare la farina nell’acqua corrente fino a ottenere il glutine, sotto forma di pallina traslucida. Aggiunto ad un altro impasto, quella è la “pastina” Buitoni, la “carne vegetale”. Una sera dell’ottobre 1883 si tiene in fabbrica la cerimonia del primo assaggio. Pare che il sapore non fosse granché ma, visto quanto il padrone teneva al progetto, gli operai usati come “cavie” badarono bene a non fare troppe smorfie. L’anno seguente arriva il lancio in commercio e, contempora­neamente, la prima pubblicità ( sarà la glutinata, infatti, a far d’ora in poi la parte del leone nella comunicazi­one Buitoni, relegando in secondo piano la piccola “pastina” normale): « … una specialità dietetica, per bambini, malati e convalesce­nti, da usare al consommé volendo una minestra molto nutriente, leggera e pronta alla cottura » . Il trionfo sarà planetario, non senza varianti e perfeziona­menti.

PrimaP dimorire il fo ondatore, Giovanni Battista,B suggerisce ala figlio di aprire unu secondo pastificio a Città di Castello, cheallorac si trovava nellon Stato Pontificio

La famiglia, intanto, si ramifica. Le vicende sono complesse e, in più, la storia ora si intreccia con quella di un’altra grande azienda perché, nel 1907, Francesco Buitoni è uno dei quattro soci che fondano la Perugina ( vedi Sette n. 15, 11 aprile 2014). E anche la parte pubblicita­ria ( forte e incisiva per entrambe le aziende) sarà spesso in “comarketin­g”, come si direbbe oggi, come capiterà con l’eccezional­e diffusione delle figurine col “Feroce Saladino”, ma anche ricorrendo agli stessi illustrato­ri ( il magnifico Seneca, ad esempio) e ad analoghi stili. Nel 1920 nasce la Sapic ( Società anonima pastifici Italia centrale). Già dall’inizio della Prima guerra mondiale è stata raggiunta la ragguardev­ole quota di 3.500 tonnellate di prodotti ( oltre alla “pastina”, anche maccheroni, spaghetti, farina lattea, ecc.) ogni anno. Quando, attorno al 1927, il ramo sansepolcr­ino dei Buitoni si trova in cattive acque finanziari­e, è giocoforza rivolgersi ai parenti che dirigono l’azienda di Perugia, cioè a Giovanni Buitoni, chiedendog­li di intervenir­e. Divenuto presidente di quello che, dal 1928, prende il nome di gruppo Buitoni- Perugina, l’intraprend­ente Giovanni ( classe 1891) cavalca una serie memorabile di successi che portano l’azienda fra le primissime nel settore alimentare nazionale. Lui è geniale e anche un po’ spregiudic­ato ( si vedano le audaci e aggressive manovre commercial- pubblicita­rie con cui mette nell’angolo ogni aspirante concorrent­e), è liberale e non troppo in sintonia col regime ( anche se, dal 1930 al ’ 34, sarà podestà di Perugia), è affascinat­o dalle imprese insolite e dai mercati esteri ancora da scoprire. Nel 1934, segue personalme­nte la costruzion­e del primo stabilimen­to fuori Italia, a Saint Mur, in Francia. Tre anni dopo, decide di montare un grande padiglione all’Expo di Parigi: propone gli spaghetti al pomodoro e deve interve- nire la Gendarmeri­e per arginare l’assalto dei francesi entusiasti ( sarà, anzi, uno dei primi episodi che incrinano la tradiziona­le diffidenza transalpin­a verso i “macaroni” italiani...). Ancor più precursore sarà quando, nel 1940, apre uno “Spaghetti bar” a New York. La guerra gli metterà degli insuperabi­li bastoni fra le ruote: scoppiato il conflitto il bar deve chiudere, lui non vuole tornare in Italiamane­gli Stati Uniti deve nasconders­i per sei mesi a causa della carica fascista ricoperta a Perugia. Quando torna di qua dall’Atlantico trova lo stabilimen­to distrutto dai tedeschi in ritirata. “L’ingegnere”, come viene chiamato, non si perde d’animo e riparte presto con nuovi progetti. E con altre campagne pubblicita­rie che restano nella storia del costume: dal Carosello con Mina che canta Tintarella di luna agli spot con Diego Abatantuon­o, senza trascurare il colpaccio della sponsorizz­azione per il Napoli al tempo di Maradona. Con gli anni Settanta vengono tempi più cupi. La dinastia si frammenta. Il gruppo passa di mano finché, nel 1988, Nestlé lo rileva dalla Cir di Carlo De Benedetti. La multinazio­nale mantiene l’identità italiana dei prodotti. Progressiv­amente viene abbandonat­o il terreno delle paste secche ( cedendolo a un imprendito­re italo- svizzero che ottiene anche la concession­e del marchio) puntando piuttosto a quelle fresche ripiene, prodotte nello stabilimen­to di Moretta insieme ai sughi e ai surgelati, come le pizze Bella Napoli, realizzate a Benevento. E nel solco della tradizione culinaria del marchio, mantenendo, peraltro, con l’attenzione alla ricerca e alla sperimenta­zione, quella vocazione “nutrizioni­sta” che fin dalle origini era stata tipica di Buitoni.

6- continua

 ??  ?? Quando l’artigianal­ità si fa grande industria1 - I figli di FrancescoB­uitoni: Giuseppe, Giovanni, Luigi, Bruno e Marco. - La pubblicità della “carne vegetale”, cioè la pasta glutinata. - La nascita della pasta fresca. - Sansepolcr­o (Arezzo). -Operaie alla mensa Buitoni. Un momento di lavoro allaCasa Buitoni. - La linealin pizze a Benevento.- Lo stemma del Granducato­G di Toscanacui appartenev­a Sansepolcr­o nel 1828. - Lo Stato Pontificio di cuic faceva parte Città di Castello in quegli anni.3982 O ST A R T N O C 4 56-77
Quando l’artigianal­ità si fa grande industria1 - I figli di FrancescoB­uitoni: Giuseppe, Giovanni, Luigi, Bruno e Marco. - La pubblicità della “carne vegetale”, cioè la pasta glutinata. - La nascita della pasta fresca. - Sansepolcr­o (Arezzo). -Operaie alla mensa Buitoni. Un momento di lavoro allaCasa Buitoni. - La linealin pizze a Benevento.- Lo stemma del Granducato­G di Toscanacui appartenev­a Sansepolcr­o nel 1828. - Lo Stato Pontificio di cuic faceva parte Città di Castello in quegli anni.3982 O ST A R T N O C 4 56-77
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 ??  ?? - Una pubblicità degli anni 20 con una suora che propone la pastina glutinata.- Una réclame della pasta e del pane “che non ingrassano”. - Un manifesto che pubblicizz­ava “Il primo pane del bambino”.- Un’immagine dello Spaghetti bar aperto da Buitoni a New York nel 1940.- Villa Buitoni a Sansepolcr­o. - La cucina “a vista” di Casa Buitoni.26145Talen­to comunicati­vo3
- Una pubblicità degli anni 20 con una suora che propone la pastina glutinata.- Una réclame della pasta e del pane “che non ingrassano”. - Un manifesto che pubblicizz­ava “Il primo pane del bambino”.- Un’immagine dello Spaghetti bar aperto da Buitoni a New York nel 1940.- Villa Buitoni a Sansepolcr­o. - La cucina “a vista” di Casa Buitoni.26145Talen­to comunicati­vo3
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