I Soprano, a lungo rifiutati dalle major Usa, sono esplosi come oggetto di culto.
Rifiutati a lungo dalle major Usa, i Soprano sono esplosi grazie al rapporto tra Tony e Melfi. Dando il via al Rinascimento seriale
Quando inventa I Soprano, sul finire degli anni Novanta, David Chase è un autore e produttore televisivo di gran mestiere, ma ormai disgustato dal mondo della tv: « Dopo venticinque anni di lavoro nel settore, e di stupide riunioni in cui idee trite, inconsistenti e insapori trionfavano, niente mi sorprendeva della tv seriale. E non ho mai visto nessun personaggio comportarsi come un vero essere umano » , confida ad Alan Sepinwall, il critico televisivo americano che ha narrato l’epopea della TeleRivoluzione ( un bel libro, edito in Italia da Bur nel 2014). Chase vuole finalmente raccontare una semplice storia di realtà, basata sul suo tormentato rapporto con la madre d’origine napoletana, sui conflitti all’interno di un’ordinaria famiglia italoamericana e sulle noiose incombenze d’ogni giorno. La mafia arriva dopo, quando la casa di produzione con cui Chase era sotto contratto gli chiede di scrivere qualcosa in stile Padrino. Dunque, il boss protagonista, così spietato ma anche fragile al punto di voler andare dall’analista per risolvere le crisi di panico, è una figura che viene ricamata dopo. Alla base c’è semplicemente la trama familiare.
Realismo in salsa light. Il progetto risulta subito indigeribile: alle prime riunioni per offrire I Soprano a una tv, i manager della Fox di Rupert Murdoch mettono la condizione che il personaggio non sia un vero antieroe, bensì un infiltrato della Fbi. Altre reti mostrano un tiepido interesse. La grande Cbs chiede di eliminare addirittura tutto il rapporto chiave di Tony con la dottoressa Melfi: passi la mafia, ma l’abbinamento con la psicanalisi no. Ci sono resistenze per la scelta dell’attore protagonista, James Gandolfini, che allora era un semplice caratterista sconosciuto al grande pubblico, come pure l’attrice Edie Falco, individuata per il ruolo della moglie, l’incrollabile e improbabile romantica Carmela ( l’altro attore in ballo per la parte principale, Steven Van Dzant, diventerà prima il braccio destro di Soprano, Silvio Dante, e poi il boss in esilio del recente Lilyhamer). Così I Soprano finisce all’allora piccola rete via cavo HBO, che aveva già prodotto una serie carceraria sofisticata e finalmente realistica ( OZ). Chase si ispira apertamente a Quei bravi ragazzi di Martin Scorsese e lavora con una cura maniacale dei dettagli, autori e attori vivono immersi nella realtà italoamericana di New York e dintorni per mesi, ci sono persino veri ex criminali pentiti come consulenti. Sono una vera e propria rivoluzione per la tv, I Soprano, e vengono subito considerati il capolavoro originale del cosiddetto Rinascimento seriale americano. Con il suo strampalato protagonista, un mafioso del Duemila nel New Jersey che va dall’analista e ne combina di tutti i colori, questo telefilm introduce la svolta verso il realismo. Ed è in questo cambio di registro che s’inquadra anche l’avvento di una figura nuova, l’antieroe, di cui tanto si è detto e scritto. Con questa scelta di fondo a Chase riesce il miracolo di rinsaldare il mondo seriale con la grande tradizione letteraria americana, che fin dagli inizi del Rinascimento del Romanzo si caratterizza per il principio del realismo, da mescolare a qualche altro « aroma leggero, delicato, evanescente » , come teorizzò Nathaniel Hawthorne: e la sua dose di Meraviglioso Chase se la gioca nella lettura ironica e demistificante dell’epopea di Tony come parabola del declino della società americana. Un’attenta studiosa italiana di letteratura
Ispirato a Quei bravi ragazzi di Martin Scorsese, gli attori vivono immersi nella realtà italoamericana. Come consulenti ci sono persino veri ex criminali pentiti
americana, Cinzia Scarpino, ha notato come l’intera storia ruoti intorno alla civiltà dei rifiuti e dello spreco: in fondo, lo stesso Tony Soprano di mestiere fa l’imprenditore nel ramo immondizia. Ma dentro alle storiacce del telefilm scorre un’epoca, o meglio la fine di un’illusione. La politica, il sesso, Hollywood, tutto viene macinato come i cadaveri dei nemici nei salami del Satriale’s Pork Store dove si riunisce il clan. Alla fine, con 86 ore di racconto sparse nell’arco di sette anni, superando indenne persino la crisi del dopo 11 settembre 2001, I Soprano si rivela una marcia trionfale: solo di Emmy, Golden Globe e Awards vari incassa 82 premi e 211 nomination. Per il New York Times, addirittura, è « l’opera della cultura pop più importante dell’ultimo quarto di secolo » . In realtà, è la serie che segna gli anni Duemila: persino il finale aperto, e incerto, fa epoca. Dopo aver intrappolato lo spettatore in uno sconvolgente processo d’identificazione, Chase non vuole certo regalare una facile via di uscita autoassolutoria. Le ultime note della canzone Dont stop believing, prima dei clamorosi dieci secondi di nero e silenzio con cui si chiude la serie- mito, s’interrompono proprio mentre i Journey cantano: « Oh, il film non termina mai/ Va avanti e avanti e avanti e avanti » … Niente sarà più come prima, in televisione.