Fu quest’opera di Santino Cattaneo, acquistata da d’Annunzio per arredare il Vittoriale, a ispirare il grande telero conservato al Municipio di Salò
Se penso a quanti studiosi e appassionati hanno perlustrato il Vittoriale, e anche a quanti, in particolare, hanno esaminato i rapporti fra Gabriele d’Annunzio e le arti figurative, non mi sembra probabile che quel luogo sia propizio a scoperte. E, tanto più, nell’ambito più lontano dagli interessi collezionistici del poeta, che è quello dell’arte antica. In quella straordinaria scenografia vi è spazio, infatti, per i calchi dei fregi del Partenone di Fidia o dei Prigioni di Michelangelo e per fantasiose e capricciose invenzioni di pittori e scultori a lui contemporanei, a parte dei quali io ho tentato di dare, con Alfonso Panzetta, una ricognizione e una sistemazione critica con la mostra Gli scultori di d’Annunzio. È stata una ricerca suggestiva e stimolante, che ha consentito l’emersione di opere e artisti nascosti, rimossi o dimenticati. In passato avevo riconosciuto qualche opera pregevole e anche di artisti antichi. Una meravigliosa croce del Trecento riminese, di piccole dimensioni, dipinta su due lati, che è forse l’oggetto più prezioso acquistato da d’Annunzio, ma direi inconsapevolmente. E un Giobbe di Antonio Zanchi, ritenuto, per il soggetto dolente e masochistico, di Ribera. Ma le scoperte non erano finite. Qualche giorno fa, infatti, ritornando al Vittoriale, nell’Officina ( la stanza dove d’Annunzio scriveva), celato dietro un bozzetto di Guido Cadorin, molto attivo al Vittoriale, ho riconosciuto un dipinto di Sante Cattaneo, detto Santino, un artista non privo d’interesse, nato a Salò nel 1739. L’artista si formò presso il valoroso bolognese Francesco Monti, che aveva scuola a Brescia. Dopo qualche incertezza, intorno ai vent’anni, Santino si stabilisce a Brescia nel 1773, per rimanervi tutta la vita, con una escursione a Roma e un perfezionamen- to a Bologna all’Accademia Clementina. Una vita operosa e riservata, di cui resta testimonianza in tele ed affreschi, come la Deposizione della Chiesa di San Faustino a Brescia, le tele della parrocchiale di Verolavecchia ( 1775), gli affreschi della parrocchiale di Borno ( 1780- 1781), gli affreschi della parrocchiale di Pisogne ( 1798). Il suo biografo, l’abate Jacopo Gussago, lo descrive mite, modesto, devoto, anche tormentato, con crisi e turbamenti di cui si vede traccia anche nei dipinti. L’opera che ho individuato è il bozzetto per un grande telero sempre conservato nel palazzo Municipale di Salò, la città natale del pittore, e ora trasferito nel Musa, nuovo museo della città. Non è stato un difficile riconoscimento. Infatti sul telaio del dipinto vi è ogni utile indicazione: « Modello originale del quadro grande esistente nella sala del Comune di Salò dipinto da Santo Cattaneo » . E, ancora: « Mario Soranzo, Provveditore di Salò » .
LA PACE DEL PROVVEDITORE. Non è difficile pensare che il poeta l’abbia acquistato negli anni di laborioso arredamento della sua dimora. Il quadro, nonostante qualche caduta ai margini, è in buone condizioni e in prima tela. E rappresenta il Provveditore nell’esercizio della giustizia affidata a un bellicoso angioletto che tiene in una mano una spada, nell’altra una bilancia, impegnato a punire un brigante prigioniero. A destra, prorompente, una prosperosa allegoria dell’abbondanza si offre al Provveditore. Il dipinto, olio su tela di cm 38x50, è propriamente un modello, e non un bozzetto, giacché appare perfettamente finito e di diretta ispirazione del telero per il Palazzo comunale. Il dipinto e, conseguentemente, il modello furono commissionati nel 1786 al pittore dalla comunità di Riviera in segno di gratitudine per l’impegno del provveditore Soranzo contro il brigantaggio. I riferimenti stilistici, oltre a quelli ricordati, sono anche da maestri veneziani come Sebastiano Ricci e Giovanni Battista Pittoni. E l’iconografia corrisponde a numerosi precedenti veneziani in Palazzo Ducale e nelle scuole di Venezia. Marco Soranzo fu una figura stimata per avere esercitato una dura repressione contro la criminalità, restituendo a Salò un breve periodo di pace e prosperità, di cui il dipinto di Sante Cattaneo è l’emblema, anche se solo dieci anni dopo la campagna napoleonica cambierà lo scenario. È singolare che proprio quest’anno, ad aprile, si sia aperta la casa privata e organizzato un convegno sul Provveditore veneto, figura a metà strada fra un Prefetto con il compito di Capitano delle milizie gardesane preposto all’amministrazione della giustizia criminale, e un Governatore “leghista” con la responsabilità di difendere l’autonomia politico- amministrativa della comunità della Riviera.