L’infinita tragedia dei Rohingya, ora anche schiavi sui pescherecci
Umani venduti come schiavi alla ricca industria thailandese della pesca: è l’ultimo destino dei Rohingya, ormai in balia di violenza e soprusi, se non di una vera pulizia etnica. Il loro infame commercio è diventato così economicamente vantaggioso che perfino molti pescatori hanno convertito le loro barche per trasportare carichi di uomini invece che di pesci. Un’inchiesta del giornale britannico The Guardian ha rivelato che la popolazione che l’Onu stessa definisce “senza terra né amici” – minoranza musulmana della parte occidentale dell’ex Birmania – è ormai trattata come merce in tutti i sensi. Non solo sballottata fra campi profughi e rifiuti di rifugio (come il caso che ha visto protagoniste la Malaysia, l’Indonesia e la stessa Thailandia che in un primo momento hanno rifiutato di dare accoglienza ai loro barconi). Ora sarebbero sempre, e ancor di più, nel mirino dell’avidità dei produttori thai di pesce (le cui confezioni arrivano anche in Occidente). I boss grandi e piccoli di questo settore comprerebbero maschi adulti Rohingya, perfino con la complicità di pubblici ufficiali di Bangkok, facendoli prelevare dai centri di detenzione immigrati thailandesi – oppure catturandoli direttamente al loro arrivo sulle coste del Paese – per consegnarli come schiavi sui pescherecci. La Thailandia, in realtà, è al centro di forti pressioni internazionali per porre fine a questo traffico di esseri umani, in particolare da parte della Unione Europea che ancora ad aprile ha fissato un ultimatum di sei mesi minacciando sanzioni all’export di prodotti della pesca (che per il Paese vale circa 800 milioni di euro). In questi mesi, Bangkok ha annunciato di aver avviato azioni decise nel senso richiesto, compresa l’introduzione della regola che impone alle imbarcazioni di registrare ufficialmente anche i lavoratori migranti. A riprova, ci sarebbe il dato della Thai Overseas Fisheries Association – 3.000 pescherecci sarebbero stati tirati a riva per il timore di multe per mancato rispetto delle nuove regole – e lo sciopero, dichiarato all’inizio del mese – dei pescatori di 22 province thailandesi contro le riforme. Ma l’inchiesta del Guardian ribadisce che le prove raccolte dimostrerebbero come, nonostante il giro di vite del governo, il commercio di esseri umani sia ancora vivo. Una cosa è sicura: la salvezza dei Rohingya è ancora lontana.