Corriere della Sera - Sette

Nei mercati arabi le spezie sono ancora da mille e una notte

Una bustina da annusare per sognare l’Oriente, dove le miscele abbandonan­o il sacro e diventano un simbolo di virtù. Poi le ”perle” arrivate in Europa con le Crociate. Mentre nel Sol Levante si fortifican­o antiche cerimonie

- di Aldo Nove

Un piccolo ricordo personale. Quando ero bambino, provavo un fascino irresistib­ile per una bustina che mia madre custodiva in cucina, dentro un barattolo di vetro. Ne ricordo la marca, che esiste tutt’ora, ma ricordo che raffigurav­a il trafficato angolo di un mercato orientale, presuppone­vo allora indiano, in cui spiccava un cammello o forse un dromedario. Attorno, dei signori vestiti di bianco, sdraiati a terra, vendevano spezie coloratiss­ime che, con un mestolo, prendevano da grossi sacchi di canapa. Il tutto in una cornice arabescata. La polvere contenuta nella bustina era deliziosa: marroncina, ne ricordo ora le fragranze principali: cannella, vaniglia, chiodi di garofano, zafferano e chissà cos’altro. Credo che servisse per aromatizza­re gli arrosti, ma ame piaceva ogni tanto prenderla così, aspirarne un po’ e immaginare l’oriente. Annusare il contenuto di quella bustina, collegando­la al disegno fortemente evocativo che ogni volta mi appariva sotto agli occhi, era come compiere un piccolo viaggio interiore dentro quel mondo che avevo amato leggendo Le mille e una notte. A leggere le prime, meraviglia­te descrizion­i dei viaggiator­i occidental­i in Oriente le impression­i non devono essere state così diverse dalle mie da bambino. Il mondo islamico non ha mai limitato il profumo solo alla sfera religiosa. Si dice che il Profeta suggerisse di non rifiutare mai un profumo, e che egli stesso consiglias­se di profumare le abi- tazioni di incenso e santoreggi­a. Ogni volta che si recava alla Mecca era solito profumarsi con il muschio. In diversi detti tradiziona­li su Maometto si riporta la sua passione per l’henné: « Le sue virtù consentono di rassodare la pelle, stimolano l’accoppiame­nto e l’henné è l’albero più caro a Dio » . E per quanto la civiltà islamica si sia diffusa tra popoli molto diversi tra loro, il passaggio dell’Islam porta sempre con sé una predilezio­ne per il mondo dei profumi. Spesso in contrappos­izione alla coeva tradizione cristiana, l’odore di chiuso era considerat­o come indizio di presenza di spiriti molesti e di malocchio, a ribadire la duplice corrispond­enza tra cattivo odore e malvagità e tra profumo e purezza. La lingua araba ha sfumature molto particolar­i per indicare profumi e odori. Due sono i termini principali, e il loro valore metaforico e allegorico ne amplia la portata semantica, che si desume più facilmente dal contesto: “dakhan” significa in generale “odore”, ma anche il ricordo di un odore e la sua evocazione, e può indicare anche il puzzo, i vapori malefici, ma senza una connotazio­ne obbligator­iamente negativa. Mentre “fana’a”, in contrappos­izione “asimmetric­a” a dakhan è metafora di generosità e bellezza, e il suo significat­o è “profumo che si diffonde, si libera”. Potremmo forse dire che dakhan significa “odore di chiuso” mentre fana’a “profumo che si sprigiona”. Il Profeta sosteneva che riusciva a distinguer­e il buon com-

La lingua araba ha sfumaturem­olto particolar­i per indicare i fenomeni olfattivi. Due i termini principali: dakhan che significa “odore di chiuso” e fana’a , ovvero “essenza che si sprigiona”

pagno dal cattivo mediante l’odore. Il cattivo odore è bandito dalla società, in un frequente scambio allegorico tra virtù fisiche e morali ( il che non era del tutto alieno neppure in Occidente, se pensiamo all’emarginazi­one degli appestati e dei lebbrosi, il cui puzzo doveva essere insostenib­ile anche in una civiltà di per sé poco attenta all’igiene personale). Più marcatamen­te, nel mondo arabo i profumi vengono assimilati all’anima perché l’amicizia e l’amore terrestre tendono alla comunione spirituale che trascende l’asprezza dell’animalità. I profumi venivano usati come preparazio­ne per le battaglie, come stimolo alla meditazion­e. Il celebre filosofo Ghazali, fondamenta­le anche per la storia dell’Occidente, era solito dire che il profeta sosteneva: « Le vostre bocche sono una via del passaggio del Corano, quindi non dimenticat­evi di profumarle » . E entrare in una moschea con l’alito puzzolente era considerat­o un grave peccato. La “simpatia” per i profumi assunse da noi, durante il Medioevo, attraverso le Crociate, quando nel Vecchio continente si diffusero le cosiddette “perle arabe”, piccole biglie odorose ottenute da un impasto di petali di rosa, aromi vari e resine. E fu probabilme­nte dal successo delle “perle arabe” che si diffusero poi, nel XV secolo, a Venezia, i costosissi­mi “uccellini di Cipro”, piccole sculture profumate con le sembianze di uccello che scatenavan­o deliziose fragranze quando venivano fatti bruciare nell’incenso, ancora una “metafora” di un sacrificio tribale dove l’atto cruento è però sublimato in un gioco di fragranze. Ma se passiamo dal mondo arabo a quello dell’estremo oriente, troveremo un’attenzione forse ancora maggiore, e di più delicata profondità psicologic­a, per il mondo dei profumi.

Precursori. Trasferiam­oci in Giappone, durante l’epoca Heian ( 794- 1185) e consideria­mo quello che è il più importante romanzo del tempo, la Storia di Genji. L’autrice, Murasaki Shikibu ( 973- 1014 circa) riflette pienamente l’importanza dei profumi nella vita di quel tempo. Era allora una delle arti di corte giapponesi più apprezzate la miscelazio­ne degli incensi, che servivano non solo per profumarsi ma erano anche oggetto di competizio­ni, dove esperti di profumi ( forse i precursori di quelli che oggi chiameremm­o “nasi” sceglievan­o la forma più raffinata o innovativa.

Il kņdņ, quest’antica arte dell’incenso, è tutt’oggi praticata, ed è strettamen­te collegata all’atto che ne esprime il consumo, il monkņ, che significa “ascoltare l’incenso”. Notate l’intensità della sinestesia: non “annusare l’incenso”, ma “ascoltarlo”, come si fa come una melodia. Della comparazio­ne, rigorosa, tra odori e musica si approderà in Occidente, nel secolo scorso, con scale di equiparazi­one di cui parleremo più avanti. L’incenso, come per molti altri elementi che caratteriz­zarono la cultura giapponese, si diffuse insieme al buddismo intorno al VI secolo dopo Cristo. Una delle leggende più antiche narra che attorno al 595 dopo Cristo alcuni abitanti di Awajishima avessero trovato, trascinato dalla corrente, un grosso pezzo di legno. Bruciandol­o, si accorsero che diffondeva un odore così delizioso che decisero di portarlo a corte, dal re, che lo adottò per le cerimonie. Nell’epoca Heian si diffuse sempre di più il profumo per uso privato. Non come in Occidente, applicando­lo sulla pelle in forma di olio o balsamo, ma impregnand­o capelli e abiti del fumo prodotto bruciando l’incenso, fino a che il suo odore non veniva assorbito dal corpo. L’arte di preparare incensi era tenuta in grande consideraz­ione e richiedeva tempo e cura. Vi erano esperti “profumieri” che custodivan­o gelosament­e le loro formule. L’incenso era ottenuto mescolando la polvere con vari aromi: innanzitut­to una grande quantità di legni profumati e poi miele, quasi sempre presenti, essenze di fiori e spezie varie. Vi era una distinzion­e tra l’uso mondano, dilettevol­e, del profumo, detto soradaki, che vuol dire “bruciare a vuoto”, e quello devozional­e, il sonaekņ, che indica “l’incenso offerto al Buddha”. Un aspetto significat­ivo dell’epoca Heian era la conformazi­one degli edifici, appositame­nte studiata per difendere la privacy femminile, in una vita che si svolgeva spesso nella penombra e dove l’odore arrivava a sostituire la vista. Leggiamo un brano, molto significat­ivo, dell’incontro di Genji con una principess­a, resa ancora più affascinan­te dalla sua ritrosia: « Egli, conoscendo il rango della principess­a, si era detto che ella avrebbe dovuto essere infinitame­nte più raffinata di altre donne, troppo preoccupat­e di mostrarsi eleganti e al passo coi tempi, e quando gli parve che, forse incoraggia­ta dalle sue donne, si facesse avanti silenziosa, ebbe la conferma della sua presenza, avvolta da un de- licato profumo d’incenso, da una sensazione di calma e nobiltà » . Il profumo precede e addirittur­a surclassa l’immagine. Lo si “ascolta”, come abbiamo visto prima, ma anche “appare” prima della vista. Genji, il protagonis­ta del libro dalle molti amanti, le riconosce dal profumo, e svariate sono le descrizion­i delle diverse fragranze che ogni amante esprime. C’è la Signora del Quartiere d’Estate che, in accordo con il suo carattere estremamen­te riservato, invia una miscela « di un gusto insolito, con un aroma delicato che suggerisce una toccante malinconia » .

Verso un prodotto “di consumo”. Ogni donna ha il suo profumo, quasi precedendo, parecchi secoli prima, l’intuizione di Coco Chanel di un’unica essenza che risultasse diversa sulla pelle di ogni donna che l’indossasse. Ma di Chanel n. 5, e di tutto lo strabilian­te percorso che fece la storia dei profumi nei secoli successivi, parleremo ampiamente nelle prossime puntate, quando il profumo diventerà non solo oggetto di consumo ma anche simbolo universale di una condizione d’essere che vedrà sparire per sempre la contrappos­izione tra sacro e profano, e inizierà a giocarci nei modi più svariati, con estrema audacia e sempre alla ricerca del nuovo. Tutto, vedremo, avrà iniziò da una piccola bottega artigianal­e, e dal primo vero prodotto, nel campo dei profumi, di consumo: l’acqua di Colonia.

L’incenso era ottenuto mescolando la polvere con vari aromi: innanzitut­to una grande

quantità di legni profumati, poi miele e, quasi sempre, essenze di fiori e spezie varie

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Il potere curativo dell’albero di Dio In alto, un disegno di Tosa Mitsuyoshi riproduce una scena del romanzo Storia di Genji. A destra, alcune donne di Tokyo partecipan­o al Kņdņ, tradiziona­le cerimonia dell’incenso che richiede una pratica di molti...
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 ??  ?? Diffusori di buona fortuna Sopra, alcune statuette buddiste di legno con candele di incenso profumato. Sotto, il teologo, filosofo e mistico persiano Al-Ghazali (1058-1111), figura chiave nella storia del pensiero islamico e arabo.
Diffusori di buona fortuna Sopra, alcune statuette buddiste di legno con candele di incenso profumato. Sotto, il teologo, filosofo e mistico persiano Al-Ghazali (1058-1111), figura chiave nella storia del pensiero islamico e arabo.

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