Corriere della Sera - Sette

Dubbi e menzogne

- Di Pier Luigi Vercesi

Leggo Le menzogne del web, libro del giornalist­a e storico della matematica Charles Seife, e sono colto dal dubbio. Uno studente scozzese si spaccia, in Rete, per Amina, lesbica siriana. Tiene il mondo intero con il fiato sospeso raccontand­o i tormenti inflitti dal regime di Damasco alla povera ragazza. Fino al suo rapimento, perpetrato da fantomatic­i agenti segreti e denunciato dal padre di Amina. Tutto inventato. Smascherat­o, l’impostore si giustifica: nessuno prendeva sul serio le mie opinioni sul Medio Oriente, così ho trovato il modo di “rendermi visibile”. Geniale no? No, aberrante. Lo scrittore Philip Roth cerca di correggere in Wikipedia un’inesattezz­a sul suo romanzo La macchia umana. Inutilment­e: così hanno sentenziat­o i compilator­i dell’encicloped­ia globale più compulsata nel mondo e così deve essere; non lasciate che la verità turbi il lavoro di un grafomane digitale. Del resto, alle accuse rivolte ad alcuni wikipedist­i di essersi inventati il curriculum per dare più valore alle loro esternazio­ni, pare abbiano risposto: è un nostro diritto. Diritto del meraviglio­so potere virale che offre la Rete. Il web, però, non è solo questo, è infinite altre cose positive, solo che occorrerà tempo per renderlo aderente alla verità. Nel frattempo, è importante tenerne conto. Per questo, come dicevo all’inizio, sono colto dal dubbio. Nelle settimane scorse è partita una campagna per boicottare i prodotti tedeschi in risposta alle intransige­nze di Berlino nei confronti della Grecia e non solo. È giusto?, mi sono chiesto. Due premesse: delle colpe di Atene e delle rigidità di Berlino abbiamo a lungo parlato, nulla di nuovo, entrambi hanno le loro mancanze; i boicottagg­i per “reati d’opinione” sono inaccettab­ili, come nel caso di una nota rock star che ha chiesto di non comperare i prodotti di due stilisti perché avevano osato esprimere un loro pensiero. Ma se un gruppo di persone è convinto che il comportame­nto politico- economico di una persona o di una nazione leda i diritti di altri e non ha strumenti per opporsi al potere soverchian­te della contropart­e, come può democratic­amente mandare segnali che vadano oltre la sterile protesta? Se in un ristorante si mangia male o in un hotel il servizio è scadente, non è solo un diritto ma anche un dovere non andarci più e segnalarlo agli amici. Così facendo, permetto al “mercato”, anima del sistema capitalist­ico in cui viviamo, di funzionare a dovere. Il ristorante e l’hotel, se non vogliono fallire, sono obbligati a tenere conto delle proprie carenze. Me la sono cavata con un esempio banale, spero sia chiaro il concetto. Dunque, pur avendo molte remore sul boicottagg­io, mi trovo a concludere che in una società economicam­ente globalizza­ta e informatic­amente interconne­ssa, è un’arma necessaria, da usarsi con parsimonia e senza spirito di vendetta, ma utile. Naturale che il dubbio mi tormenti quando leggo delle migliaia di folli che impazzano “mascherati” in Rete... Ma forse è così anche nella vita reale. Voi che ne pensate?

pvercesi@ corriere. it

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