Altro che russi e sceicchi arabi, Londra non sarebbe ciò che è senza gli italiani che l’hanno invasa
Londra non sarebbe ciò che è senza gli italiani che l’hanno invasa
Musicisti raffinati e banchieri apprezzati, ma anche ex banchieri falliti e riciclati. Studenti brillanti e ricercatori all’avanguardia. Architetti, professori, medici e avvocati, imprenditori e manager di colossi industriali e finanziari. Chef stellati e camerieri infaticabili. Direttori di museo e presidi di scuola. Altro che tycoon russi, sceicchi arabi, miliardari cinesi e indiani. Londra è Londra, così avvolgente, perché ci sono gli italiani che la rendono unica e controversa, tollerante e competitiva, simpatica e difficile. Non c’è un angolo, non c’è una professione prestigiosa, non c’è un lavoro umile, non c’è una istituzione culturale, non c’è un palazzo del potere, che non abbiano la nostra impronta. Forse non lo sappiamo. O forse siamo portati a sottovalutarci. Ma Londra è l’Italia o, con minore enfasi e poco cambia, è anche l’Italia. Quell’Italia che ha abbandonato lo Stivale per trovare fortuna, sgobbando, oltre Manica. A volta l’ha incrociata. A volte l’ha sfiorata. A volte l’ha abbracciata. E a volte ne è rimasta esclusa. Non c’è bisogno di scivolare nella retorica. Basta affidarsi ai numeri e alla storia per vedere che l’Italia del Tamigi e lungo il Tamigi è un Paese, è una nazione e non una diaspora di emigrati. Un fenomeno più complesso. È una simbiosi, uno scambio alla pari: Londra accoglie e offre mille opportunità ( anche se non sempre) di carriera e divertimento ma l’Italia la impreziosisce e la aiuta a crescere. È il nostro destino: riceviamo tanto e, se superiamo ingiustizie e solitudine, diamo tantissimo. La console Giulia Romani fotografa la realtà di oggi: al 30 giugno scorso, erano 240.717 gli italiani residenti nella circoscrizione di competenza del consolato londinese ( Inghilterra, Galles, Gibilterra, Isola di Man e Isola di Wight). « Più di quelli registrati in tutti gli
L’Italia “inglese” è una vera nazione e non una diaspora di emigrati. Avvocati, imprenditori, chef stellati e camerieri infaticabili. L’errore è leggerli separatamente, dimenticando il quadro d’insieme
Stati Uniti » . E di questi, ben 90.389 sono stabilmente insediati a Londra. Parliamo solo delle presenze ufficiali. Se aggiungiamo le presenze “non ufficiali”, ossia i connazionali che arrivano per qualche mese e che si arrangiano, allora le cifre raddoppiano: 500 mila nell’intera circoscrizione del consolato, circa 200 mila nella capitale. « Siamo la terza comunità di provenienza da un Paese dell’Unione Europea, dopo i polacchi e i francesi » . È un trend in forte crescita. Nel 2015, da gennaio a giugno, 10.327 italiani ( 1.721 al mese) si sono regolarmente trasferiti all’ombra del Big Ben.
Cicale e formiche. Londra è una grande città italiana, con tutte le facce, con tutti i problemi, con tutte le articolazioni della grande città italiana. Nell’Ottocento, eravamo confinati nell’area di Clerkenwell, attorno alla parrocchia di San Pietro che è tuttora il punto di incontro, di aiuto e di accoglienza per l’Italia povera che si illude di avere il Bengodi a portata di mano e si scontra invece con una Londra spietata che ti lascia poco tempo per capire se riuscirai a sopravviverci. Adesso siamo dappertutto, cicale e formiche. Nella Londra benestante e meno benestante, nella Londra tradizionale di Kensington e Chelsea, nella Londra tecnologica dell’Est, nella Londra diventata di moda e di tendenza che è la stessa Clerken- well.w Ed è un presenza che si vede, che sis sente, che si scopre e si riscopre. L’ItaliaL aristocratica e l’Italia normale s’incrocianos nel lungo racconto della monarchia, nel passato e nel presente.t L’Itali ia di sangue blu che ha condiviso lo scettro.s E l’Italia che si è messa al servizio dello scettro.s Maria Beatrice d’Este, sposa di Giacomom II di casa Stuart, ultimo re cattolico, fu alla finefi del Seicento regina consorte e morì in esilio.l A Buckingham Palace, Francesco Paolo Tosti,s compositore e autore di romanze, a cavallo dell’Ottocentod e del Novecento fu assunto da sua maestàm Vittoria come maestro di canto e confermatom a corte da re Edoardo VII. E Antonella Fresolone,s per venire ai giorni nostri, è stata donna did servizio e governante per Elisabetta, prima di trasferirsit da William e Kate. Stakanovista a Buckinghamc Palace. IlI mosaico italiano si è composto poco alla volta finofi a completarsi, dando l’esatta dimensione di quantoq Londra sia stata e sia diventata “nostra”. SempreS di più. E non solo per via delle legioni romaner venute a fondare il Miglio Quadrato ma per quello che è accaduto dopo e per quello che sta accadendo. I palazzi simbolo di Londra hanno firme e storie italiane. I quartieri storici, la City, hanno il dna italiano con Lombard Street quartiere generale dei mercanti veneziani, milanesi, toscani, genovesi, già dal Duecento. Alla National Gallery, quinto museo più visitato al mondo, il direttore appena insediato è Gabriele Finaldi. Nelle aree di sviluppo digitale, a Shoreditch, i giovani italiani si fanno largo con le loro idee. Londra mette i capitali, l’Italia la fantasia e la creatività. La selezione è dura ma, se si passa lo sbarramento, il binomio è vincente.
Casi esemplari. Senza Guglielmo Marconi, la Bbc probabilmente non esisterebbe. I suoi piani di trasmissioni radio, per il ministero delle Poste di Roma, erano meritevoli di “ingiallire alla Longara”, il manicomio in via della Lungara. Arrivò a Londra, registrò la British Broadcasting Company, nucleo originario della Bbc e prese il Nobel. E senza il carbonaro Antonio Panizzi di Brescello non ci sarebbe la British Library. Condannato a morte nel ducato di Modena scappò, diventò capo della biblioteca al British Museum che poi si distaccò per diventare biblioteca indipendente, una delle più prestigiose. Il sistemam di catalogazione che adottò è tuttorat in vigore. PiccoleP e grandi biografie di uomi-
Nel 2015, prima dell’estate, sono 10.327
gli italiani che si sono trasferiti a Londra inmodoregolare: 1.721 al mese
ni e di donne, patrioti in fuga o umili gelatai, negozianti, panettieri, inventori o letterati: l’errore è sempre stato quello di leggerle, queste biografie, separatamente, isolando l’impresa del singolo, dimenticando il quadro d’assieme. Rimescolando progressivamente le carte e le storie, unendole, ecco che Londra appare per quello che è veramente: città, provincia, regione d’Italia. Non una “Little Italy”, rappresentazione riduttiva e pittoresca di un piccolo mondo chiuso, ma la grande Italia londinese degli emigranti poveri di un tempo e degli emigranti ricchi o degli emigranti pieni di speranza in questi anni, una grande Italia che il regista Luca Vullo, pure lui londinese d’adozione, ha magnificamente ripreso col documentario “Influx”. È un popolo che si radica perché Londra affascina, perché la sua efficienza amministrativa semplifica, perché il suo codice è premiare l’innovazione. Non a caso lo studio effettuato da “reed. co. uk”, sito Internet di ricerca lavoro, segnala che dal 2010 la percentuale degli italiani in cerca di occupazione a Londra e nel Regno Unito è aumentata del trecento per cento, principalmente nei settori del marketing, del digitale e delle tecnologie avanzate. Siamo bravi e ci mettiamo in gioco dove le nostre qualità possono essere riconosciute, al riparo da nepotismi e scorciatoie illegali.
Il prezzo del successo. Sarebbe sbagliato vedere Londra come la terra dell’oro. Sfondare o quanto meno imparare a cavarsela e galleggiare è terribilmente duro. Ma l’Italia ha conquistato posizioni e ha “occupato” Londra. Carmine Forte, da Frosinone, aprì nel 1935 una latteria in Regent Street e nel 1982, dopo avere edificato un impero alberghiero, fu insignito del titolo di barone di Ripley e divenne membro della Camera dei Lord: favole di ieri. Adesso ci sono Stefano Pessina e la sua compagna di vita Ornella Barra che hanno messo in piedi la società leader mondiale della distri- buzione farmaceutica, Walgreens Boots Alliance. O Vittorio Colao che è il numero uno di Vodafone. O una “business community” di imprenditori e banchieri che si presenta con un suo portale Internet per darsi visibilità e per creare una rete. O i ragazzi che frequentano le università o i master e inventano, si affermano nelle Silicon Valley di Londra, di Oxford e di Cambridge. I giovani italiani sono il nuovo tesoro londinese. È da Tech City, il Silicon Roundabout, la rotonda del silicio a Shoreditch, vicino al quartiere olimpico, che è partita l’avventura di Riccardo Zacconi ( ora quarantesettenne) con l’applicazione di Candy Crush, un giochino su tablet e telefonino al quale è incollato nel mondo mezzo miliardo di persone ogni mese, e con “King. com”, la società del digitale quotata aWall Street e valutata in partenza 7 miliardi di dollari. Se la Tech City londinese è in grado di sfidare la California è anche grazie agli Archimede italiani carichi di ingegno e di coraggio.
Città calamita. Londra non regala nulla e non è generosa. Ma sa gratificare. Ed è questa la ragione per cui calamita ventenni e trentenni. È possibile trovare ciò che in patria è un tabù. Il giornalismo, per tanti ragazzi, è un richiamo da inseguire. Al Financial Times, al Guardian, al Times, all’Evening Standard, al Wall Street Journal ( redazione londinese) e alla Bbc ci sono professionisti italiani coi fiocchi: non servono iscrizioni all’ordine, non servono raccomandazioni, servono entusiasmo e rigore. È l’Italia. È Londra. È LondrItalia. Non scherza il sindaco Boris Johnson quando si vantava di essere il primo cittadino “di una delle più grandi città italiane”, la città dei duecentomila connazionali che vivono sulle rive del Tamigi dominate dallo Shard, il grattacielo più alto d’Europa, l’icona della moderna Londra. E chi l’ha progettato? Ovvio, Renzo Piano. Un italiano.