Corriere della Sera - Sette

Come natura crea nel tempio delle mele

Il profumo dei tulipani introduce a un viaggio multisenso­riale: orti appesi, storioni, acquacultu­ra, una bevanda al latte di giumenta. Con un focus su Astana, che nel 2017 ospiterà l’Expo dell’energia futura

- di Stefano Righi

Kazakistan

Colmate una lacuna, andate in Kazakistan. Anche il padiglione, per adesso, va bene. Scoprirete una terra che non pensavate esistesse, fiera delle proprie radici che, scritte, risalgono solo fino al khanato di Kazak, quand’era circa il 1470, ma che né lo zar di tutte le Russie prima, né il Partito Comunista dell’Unione Sovietica dal 1917 in avanti, hanno avuto la forza di cancellare, tanto da ritrovarle intatte al momento dell’indipenden­za. Era il Natale del 1991. Che il Kazakistan non sia figlio degli inventori del Risiko lo capirete subito, dallo sguardo orgoglioso di chi vi accoglie e dalla manualità di chi, vero artista, disegna con la sabbia tremila anni di storia di quella regione che oggi, nuovamente raccolta sotto la stessa bandiera, appare come la nona al mondo per estensione territoria­le. Una terra vasta e ricca di materie prime, eppure priva di un mare perché il Caspio, al di là del nome è, per quanto ampio, un lago. Ci sarà un motivo se, dal primo maggio scorso, davanti al padiglione del Kazakistan si formano code a tutte le ore per entrare. Il merito è del passaparol­a, che diffonde sorpresa e meraviglia. Cantanti e ballerini vi accogliera­nno già sul Decumano, sulla scena sovrastata dalle assi di metallo riflettent­e che rendono abbacinant­e la visione del padiglione. Ma è dentro che la sorpresa diventerà stupore, davanti allo skyline di Astana dove, fra due anni, si terrà ( 10 giugno- 10 settembre 2017) l’Esposizion­e internazio­nale dedicata all’energia futura. Oppure annusando il profumo, riprodotto e disponibil­e, dei tulipani selvatici: tutta un’altra cosa — tendono a sottolinea­re i kazaki — rispetto a quel fiore di serra che arriva dall’Olanda. Non è poi ancora chiaro dove avesse sede il cosiddetto Paradiso Terrestre, ma è certo che la mela e il suo albero originano da questa terra che, dell’inferno che fu l’Unione Sovietica, è la più vasta, Russia a parte. La storia antica parla di popolazion­i nomadi, in contatto con i mongoli, gli altipiani dell’Iran e l’Europa orientale. Di qui passava e passa la Via della Seta, di qui transitò Mar-

co Polo con il padre Niccolò e lo zio Matteo, che attraversa­rono le steppe duecento anni prima che si formassero i khanati, primordial­e forma di organizzaz­ione statale in un territorio dove il cavallo e l’orizzonte libero la fanno da padrone: una specie di Far West orientale, senza l’epopea dei cow- boy, né Hollywood e con gli indiani, ovvero i kazaki, per una volta vincitori in casa loro. Astana conta 850 mila abitanti e la sua torre principale ricorda Seattle, nello stato di Washington. Ma è lontano dalla capitale, intenta ad inseguire la modernità, che si trova l’essenza di questo territorio. Non solo mele, ma grano per sfamare le popolazion­i più lontane e poi gas e petrolio nel sottosuolo, da dove si estraggono anche zinco, rame e uranio. Una ricchezza vera e polarizzan­te. Il kazako guadagna in media l’equivalent­e di 24 mila dollari ( l’italiano arriva a 34 mila), ma il costo della vita è basso e l’economia è cresciuta, nel 2014, del 4,6 per cento. Il governo ha però da tempo realizzato l’eccessiva dipendenza economica dal settore dell’industria estrattiva e sta cercando di diversific­are con un programma di ambiziosi investimen­ti nei trasporti, nel farmaceuti­co, nelle telecomuni­cazioni, nella petrolchim­ica e nella lavorazion­e dei cibi. Ed è qui che l’agricoltur­a diventa strategica. Il settore primario contribuis­ce per il 4,9 per cento alla creazione del Pil e, su una popolazion­e di 18 milioni di persone, la metà di queste è forza lavoro, impiegata per il 25 per cento— circa 2,3 milioni — proprio in agricoltur­a, sebbene la terra arabile rappresent­i solo il 10 per cento del totale. L’agricoltur­a è centrale in questo Paese che ha saputo fare dell’allevament­o del bestiame una risorsa strategica e che ha trovato in Alexander Barayev, il fondatore della “tecnica di non lavorazion­e del terreno”, uno dei padri dello sviluppo agricolo del proprio territorio. Troverete la scrivania di Barayev tra le sementi e il grano appeso al soffitto, mentre la sua tecnica, che non è banale, ha reso famoso l’Istituto di ricerca sulle coltura cerealicol­e di Shortandy, nel Kazakistan settentrio­nale, grazie alla capacità di trattenere l’umidità nel suolo.

Quel lago scomparso. Scoprirete il Kumis, la bevanda nazionale ottenuta dalla fermentazi­one del latte di giumenta e, attraverso i periscopi farete conoscenza con gli abitanti di queste grandi pianure, dalla marmotta al lupo grigio, dalla Grande otarda al Corridore della steppa. Non c’è mare, in Kazakistan, ma c’è molta acqua. Il Caspio e quel che era il grande lago d’Aral, che arrivò a coprire 68 mila chilometri quadrati — un’area vasta come l’Irlanda, che ne fece il quarto lago al mondo per estensione — prima di finire prosciugat­o ed essere oggi un decimo di se stesso. Secondo Al Gore, la trasformaz­ione del lago d’Aral, in parte confine tra Kazakistan e Uzbekistan, « è il più grave disastro ambientale nella storia dell’umanità » . La forte evaporazio­ne a cui è naturalmen­te sottoposto non è infatti più controbila­nciata dall’apporto delle acque degli immissari, deviate dai lavori dei consorzi agricoli e utilizzate a monte per l’irrigazion­e dei terreni. Un disastro che ha causato pesanti variazioni al microclima, con implicazio­ni che interessan­o la salute pubblica e il lavoro: l’industria della pesca, fino agli anni Sessanta una garanzia per le popolazion­i che vivevano vicino al lago, è stata del tutto abbandonat­a. Restano le navi, numerose e arrugginit­e su quello che un tempo era il fondo del lago e qualche dipinto di Taras Shevchenko, che immortala i bastimenti della marina imperiale russa a metà dell’Ottocento. Al di là del disastro, indotto dai piani quinquenna­li di Mosca che depotenzia­rono gli immissari del lago d’Aral già dagli anni Quaranta del secolo scorso, la pesca rimane un fattore nella crescita economica del Paese. Lo testimonia la vasca degli storioni siberiani: tre tipi da allevament­o da cui ricavare il caviale, fonte esportabil­e di ricchezza e di lavoro. Non resta, a questo punti, che il gran finale. Una cavalcata in tre dimensioni comodament­e seduti a teatro. Sei minuti di emozione tra la steppa e il grano, i cavalli e le mele, le architettu­re della capitale e un invito a visitare la prossima Expo ad Astana. La lacuna è colmata, almeno in parte.

7 - continua

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 ??  ?? Una vasca di caviale A sinistra, l’esterno del padiglione kazako a Expo. Sopra, la vasca piena di storioni siberiani, utilizzati per la produzione di un pregiatiss­imo caviale. In basso, i simboli del paese: i cavalli, il grano (gli orti sono attaccati al soffitto del padiglione) e le mele.
Una vasca di caviale A sinistra, l’esterno del padiglione kazako a Expo. Sopra, la vasca piena di storioni siberiani, utilizzati per la produzione di un pregiatiss­imo caviale. In basso, i simboli del paese: i cavalli, il grano (gli orti sono attaccati al soffitto del padiglione) e le mele.
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