Corriere della Sera - Sette

L’italian style anima la City. Ma è come una giungla e per avere successo c’è bisogno di un progetto

Maècome una giungla e per avere successo c’è bisogno di un progetto

- Di Manuela M. Ravasio

Potremmo cominciare da Clerkenwel­l. Dal quartiere che fu di Garibaldi e Mazzini e che nel 1840, al civico 10 di Laystall Street, ospitò gli incontri della Mazzini and Garibaldi Workmen’s Society. La chiesa di St Peter, costruita con i contributi del patriota italiano, è sempre lì, e attorno a essa ha preso vita, grazie alla figura di padre Carmelo, il St Peter’s Project. Da venticinqu­e anni, un posto dove gli italiani meno fortunati trovano aiuto e assistenza. « Ho scoperto questa realtà dieci anni fa: mi trovavo lì e venni a sapere che, con un deficit di ventimila sterline, non avevano più il denaro per pagare la riabilitaz­ione a un ragazzo che lavorava al deposito bagagli dell’Alitalia. Mi sembrava giusto cominciare a fare la mia parte, io che a Londra ci sono da più di vent’anni e che faccio parte di quei privilegia­ti che si muovono tra Hampstead e Bond Street con le Boris Bike ( il bike sharing di Santander Cycles, ndr) » . Chi parla è Davide Serra, fondatore di Algebris Investment­s e riconosciu­to come uno dei massimi esperti mondiali del settore bancario. In pratica, uno dei tanti italiani che oggi siede nella “stanza dei bottoni” della capitale britannica. « In un periodo in cui Londra è raccontata come un terra promessa, pochi forse sanno che ogni giorno centinaia di nostri connaziona­li si mettono in fila per un pasto caldo. E se prima i due terzi avevano i capelli grigi, oggi il 50 per cento è formato da giovani arrivati qui magari con mille euro in tasca, poca preparazio­ne e scarsa conoscenza della lingua, e che immediatam­ente si infilano in brutti vicoli. Sono le due facce degli italiani a Londra: quella che occupa posti di rilievo nella City, e penso a figure come Andrea Orcel, Diego de Giorgi o Fabrizio Gallo, e quella che rimane ai margini. Se sono diventato patron del St Peter Project’s e ho deciso di occuparmi del fund raising, oltre che garantire un budget annuale di almeno 20mila sterline, è anche per farle parlare tra di loro » , conclude Serra.

Un mercato del lavoro flessibile. Sta di fatto che gli italiani a Londra sono tanti. Nella cultura, nella ristorazio­ne, nella

finanza. Per la precisione, secondo i dati del Consolato, che visto i numeri è il secondo nel mondo dopo quello di Buenos Aires, sono circa 500 mila, diventando così la terza comunità dopo quella polacca e francese. Tanto per capire il fenomeno, da gennaio a giugno 2015 il Consolato ha registrato all’Aire una media di mille e 721 connaziona­li al mese, per la maggior parte under 40. « Si viene qui perché le opportunit­à lavorative sono tante e in diversi settori e perché c’è un ecosistema che facilita la crescita profession­ale » , dice Massimo Tosato, a Londra da 16 anni e vice chairman di Schroders. « Londra è una città cosmopolit­a e ottimista con un mercato del lavoro flessibile e che si può vantare di un 5,5 per cento di disoccupaz­ione. Alcuni ambiti possono essere molto competitiv­i è vero, ma i giovani che arrivano dalle università italiane sono preparati

e in più aggiungono quell’elemento di creatività che spesso dà loro una marcia in più » . Quello che rende vincenti invece gli italiani nel settore della moda è, secondo Anna Orsini, a Londra dal 1979, ex direttrice dell’ufficio internazio­nale del London Fashion Week e oggi consulente strategico del British Fashion Council, la competenza e le capacità commercial­i: « Scuole come la Central Saint Martins spingono molto sulla parte creativa, mentre in molti brand internazio­nali, come ai vertici di agenzie multimarca, siamo noi a essere chiamati per ricoprire ruoli di direzione » . La piscina e il ristorante della Shoreditch House nell’East London, il locale che ha dato inizio al dining club, è uno dei ritrovi del fashion jet set, così come The Electric Cinema in Portobello Road, una vecchia sala cinematogr­afica tra le cui poltrone in pelle con poggiapied­i, gli ampi divani, e i sei letti matrimonia­li in prima fila attrezzati con coperte in cashmere, sono organizzat­i gli eventi più importanti. « Ma rappresent­are gli italiani in modo univoco non è corretto » continua Orsini. « Alla fine, facciamo tutti parte di una comunità londinese e internazio­nale. L’unica differenza sta forse nel fatto che mentre gli inglesi ti chiedono cosa fai “week after next”, per gli italiani è “cosa fai stasera”… E alla fine, quindi, è più facile che ci si incontri a comprare lampadine nel basement di Peter Jones a Chelsea o al Borough Market alla ricerca di formaggio Castelmagn­o e grissini piemontesi » . Oppure, come dice Allegra Hicks, torinese di nascita e londinese di adozione, designer super titolata di caftani in edizione limitata ( esposti anche nella galleria milanese di Alberto Levi) e di tessuti per la casa, a fare la spesa da iCamisa a Soho o a La Picena in Walton Street: « Sono qui dal 1985, qui mi sono sposata e ho costruito il mio business, ma ancora riconosco i ragazzi italiani che durante il weekend si ritrovano al parco a giocare a calcio o quelli che si vanno a godere la meraviglio­sa collezione di arte all’Estorick Collection di Islington tra opere di Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giorgio Morandi o Mario Sironi » .

L’omaggio a Vittorio De Sica. E visto che si guarda al mondo dell’arte, è bene dire che è Londra tutta a essere impazzita per l’arte italiana del dopoguerra. « Lo scorso febbraio, l’opera Intersuper­ficie Curva Bianca di Paolo Scheggi da Christie’s è stata battuta per quasi un milione e 800mila sterline. Ma a ingrossare il mercato dell’arte londinese sono anche i Fontana, Manzoni, Castellani, Bonalumi, Boetti; con gallerie come quelle di Marco Voena, Mazzoleni e la nuovissima Tornabuoni in Albermarle Street a farla da padroni » , dice Manfredi Della Gherardesc­a, art advisor per collezioni­sti inglesi, americani e italiani, storico dell’arte e arredatore: « In un certo senso, gli inglesi hanno sempre invidiato la solarità della nostra cultura. Arredano le loro case con i nostri pezzi, vengono a mangiare italiano Da Lucio in Fulham Road, il nuovo ristorante aperto da uno dei camerieri dello storico San Lorenzo, apprezzano la nostra moda e il nostro modo di fare business, cosa non insolita visto che qui noi arrivammo da banchieri, con le famiglie Bardi e Peruzzi che nel Trecento finanziaro­no il re d’Inghilterr­a » . Così, non c’è da stupirsi se, alla fine di giugno, alla versione pop up dell’Osteria Francescan­a di Massimo Bottura nelle sale di Sotheby’s in New Bond Street, c’era tutta la Londra che conta. Da Tom Ford a AA Gill, da David Ross a Eric Fellner. L’omaggio all’Italia,ll’It li si i aprivai con un riso cacio e pepe in ricordo delle mondine dell’Emiliaa Romagna per poi coronar- si con una carne cotta all modo Toscano servita conn aceto balsamico di Modena a extravecch­io, parmigian o stagionato trenta mesi e, su ullo sfondo, ancora Fontan na, Boetti e l’arte del Bel Paes se. « Sarebbe sufficient­e guard dare il calendario degli even nti dei prossimi mesi per cap pire l’importanza degli italianii a Londra in questo momento: o: il London Film Festival avrà in cartellone per la prima volta ben dodici nostri film e una retrospett­iva su Vittorio De Sica sarà curata dal British Film Institute; il Raindance Festival ospiterà il documentar­io cult sulla stazione Termini di Bartolomeo Pampaloni; mentre Sergio Lombardo, in occasione della mostra The World Goes Pop alla Tate Modern, curata dalla giovanissi­ma Flavia Frigeri, farà una conferenza nella nostra sede di Belgrave Square » , afferma Marco Delogu, nuovo direttore dell’Istituto Italiano di Cultura. « E non dobbiamo dimenticar­e che nelle principali istituzion­i culturali inglesi ci sono italiani, come Andrea Lissoni, curatore del Film and Internatio­nal Art alla Tate Modern, come Nico Marzano, Film& Cinema Manager all’Institute of Contempora­ry Arts, come tanti ricercator­i del British Museum, senza scordare che sarà un cittadino britannico che parla italiano a guidare, dal 17 agosto prossimo, la National Gallery: Gabriele Finaldi » . La sfida di Delogu è quella di trasformar­e l’Istituto in un polo di attrazione e informazio­ni per i nostri connaziona­li. Un posto caldo insomma, per i giovanissi­mi in cerca di contatti con musei, per chi vuole approfitta­re di una biblioteca fantastica, e per le ricorrenze future, a cominciare dai 50 anni del film di Michelange­lo Antonioni Blow-Up nel 2016. Uno spazio comunque alternativ­o a quello offerto dallo storico Italian Book Shop in Warwick Street. Qui, Ornella Tarantola, « come una vecchia » zia dice lei, si ferma sempre volentieri a fare due chiacchier­e con chi viene a comprare un libro anche solo per nostalgia di casa: « La nostra è per metà una libreria e per l’altra metà un luogo di incontri per chi la cultura italiana la insegna e la promuove in prima

« Apprezzano il nostro modo di fare business, cosa non insolita visto che, nel ‘ 300, arrivammo qui da banchieri per finanziare il re »

persona » . Tra questi, Stefano Jossa, accademico di letteratur­a e saggista che, non avendo trovato posto nell’università italiana, ora insegna alla Royal Holloway College dell’Università di Londra, e che all’Italian Book Shop ha presentato il suo saggio sulla letteratur­a come forma di resistenza ( Scritture di Resistenza. Sguardi politici dalla narrativa italiana contempora­nea, Carocci ed.); ma anche trentenni con voglia di cambiare lavoro e routine come Sara Pittaluga, che dal centro di Rapallo si è trasferita a Hackney per fare la cartoonist free lance e la progettist­a di workshop di design sensoriale. O come Alessia Mastroleo e Maia Rossi, entrambe ex consulenti aziendali nella gestioni di fondi Ue e con master alla Business School, e ora, dopo un fund raising “family and friends”, per usare le loro parole, imprenditr­ici in attesa di aprire il primo punto vendita di Donna Fugazza, avendo ricevuto anche il finanziame­nto da parte di un importante azienda italiana per ora anonima. « Non raccontiam­o favole. Londra è una città difficile e per avere successo bisogna avere un progetto ben definito. La differenza la fa la profession­alità, altrimenti si rischia di andare a lavorare per poche sterline e ritrovarsi alla sera in cinque persone in una stanza, e non certo a South Kensingtho­n o Notting Hill » , la riflession­e comune. Ovvero non nei quartieri scelti dagli italiani “che ce l’hanno fatta” e che, anche per mandare i propri figli in scuole quotate come la Westminste­r Cathedral Choir e la St Philips, per i maschi, o la Falkner House e la Francis Holland per le femmine, finiscono con il concentrar­si nelle zone più note anche ai turisti. Scelta che non ha fatto sicurament­e Orsola De Castro, considerat­a dagli inglesi la “Queen of upcycling”, nonché fondatrice di Fashion Revolution, il movimento che sensibiliz­za sui costi sociali del sistema moda, e insegnante di moda etica alla Central Saint Martins School, che i suoi quattro figli li ha invece mandati alla “terribile” scuola pubblica inglese e vive a Brixton. Per lei, il massimo dell’Italia a Londra sta nelle cucine di Spring, alla Somerset House di Lancaster Place, dove una cuoca australian­a cucina dei fantastici ravioli, e in quelle di Franco Manca, la catena di pizzerie di Giuseppe Mascoli che ai londinesi ha insegnato cosa significa mangiare la pizza lievitata naturalmen­te, con ingredient­i organici e cotta in un forno a legna. E pensare che un volta tutto questo era poco più che uno stereotipo…

 ??  ?? ELEGANZA E STRAVAGANZ­A.
Da sinistra: una strada di South Kensington, tra le zone più ricche ed eleganti della città; il vetro lavorato di una porta-finestra di un pub; una bancarella di abbigliame­nto vintage; un negozio di Portobello road, a Notting...
ELEGANZA E STRAVAGANZ­A. Da sinistra: una strada di South Kensington, tra le zone più ricche ed eleganti della città; il vetro lavorato di una porta-finestra di un pub; una bancarella di abbigliame­nto vintage; un negozio di Portobello road, a Notting...
 ??  ?? INDIRIZZI UTILI 1- Arte e design
allegrahic­ks.com
2- Cucina italiana
257-259 Fulham Road
3- Scuola femminile
falknerhou­se.co.uk
4- Cinema di Portobello,
electricci­nema.co.uk
5- Libreria-museo
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6- Arte moderna...
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