L’uomo che dà un’accelerata alla posta dei milanesi
Il sogno di un commendatore che voleva far comunicare le persone grazie a una schiera di reduci in bici. E che ebbe un’intuizione: recapitare le lettere in 24 ore. Così nasce la più grande impresa privata italiana di consegna a domicilio
Nexive (ex Rinaldi)
Alungo — per generazioni d’italiani, si potrebbe dire — la posta “privata” è stata una contraddizione in termini: lettere e cartoline arrivano, devono arrivare, con la divisa grigio- azzurra dei postini, ovvero dipendenti pubblici per definizione, rappresentanti dello Stato che sapevano raggiungere i paesini più sperduti della penisola. Bisogna toccare la metà degli anni Settanta perché quest’opinione sia un poco scalfita, bisogna che le grandi città comincino a scoprire i pony express, i ragazzi in motorino che garantiscono consegne più rapide. Così, oggi, nella cassetta delle lettere si possono trovare corrispondenze che hanno seguito un’infinità di percorsi diversi: dai microsistemi locali ai grandi vettori internazionali che dispongono addirittura di proprie flotte aeree. Attenzione, però, si sbaglierebbe a leggere qui un indice di progresso, un segnale di modernità… La verità è che, semmai, si tratta di un ritorno alle origini: il monopolio statale del servizio postale — alla stregua dei tabacchi o del sale — è piuttosto una parentesi, un episodio legato a dinamiche politico- istituzionali, all’interno di una storia enormemente
più lunga e variegata. Si può risalire ai primissimi postini, i nobilissimi Thurn und Taxis, ramo tedesco discendente da una famiglia lombarda del XIII secolo, che furono Maestri di Posta sotto l’impero asburgico e conservarono questa qualifica dalla fine del Quattrocento fin oltre la metà dell’Ottocento, garantendo il recapito della corrispondenza su vastissime porzioni dell’impero. Ma, per la verità, si può far riferimento a un periodo neppure troppo distante da noi. Ci sono ancora persone che forse ricordano di aver ricevuto o spedito qualche plico affidato alla Seis o alla Coralit, non alle Poste italiane. Succedeva nei convulsi mesi fra il 1944 e il 1945, alla fine della guerra, nelle regioni del Nord, quando lì le poste ufficiali erano quelle che usavano francobolli sovrastampati in nome della Repubblica sociale italiana, l’ultima trincea di Mussolini. La premessa è lunga ma serve a introdurre la storia della Rinaldi, una ditta dalle tradizioni antiche — appena cinquant’anni meno della Posta ufficiale italiana— dal 1998 assorbita in Tnt Post Ita- lia che fa capo al gruppo olandese PostNL, un’azienda che oggi conta 5.500 addetti e raggiunge il 74% delle famiglie italiane. Quando, il 13 settembre 1979, scompare Cesare Rinaldi, il Corriere scrive: « Si assottiglia la schiera di quei “capitani d’industria” che fra gli anni Venti e Trenta hanno fatto grande Milano » . E aggiunge poi che loro, più che “capitani”, preferivano esser chiamati “commendatori”. Rinaldi era nato a Soresina nel 1894 e dodici anni dopo era arrivato a Milano. Nella Grande guerra aveva combattuto su diversi fronti. Sul Corriere, Glauco Licata proseguiva il racconto: « Tra i viaggi fatti per diporto e quelli fatti in divisa col ’ 98 e l’elmetto — mentre il caos del dopoguerra preludeva all’avvento del fascismo — Rinaldi aveva maturato due grandi idee: una, che forse gli stava più a cuore e che però realizzò più tardi, di impiantare una moderna agenzia di viaggi sul tipo dell’agenzia inglese inventata ottant’anni prima da Cook; l’altra, di impiantare un’agenzia per il re-
capito della corrispondenza » . Insomma, sempre di comunicazione si trattava: o per favorire gli spostamenti della gente, o per favorire i rapporti epistolari. La seconda idea prende concretezza nel 1919. Rinaldi apre in via Verziere la prima agenzia per il recapito in città della corrispondenza entro 24 ore: è il cosiddetto “espresso”. I dipendenti sono, in buona parte, reduci che, dopo la vittoria, si trovano con nulla in mano, se non una bicicletta. E, del resto, collegato al turbolento dopoguerra è un altro esperimento che prende piede l’anno successivo, sempre a Milano, per iniziativa della Camera di commercio: davanti agli scioperi e ai boicottaggi che stanno paralizzando le comunicazioni nell’Italia settentrionale, viene stipulato un accordo con le Poste, istituendo un servizio privato — durerà fra l’aprile e il maggio 1920 — che prevede un sovrapprezzo e l’applicazione di francobolli stampati ad hoc ( riproducono l’etichetta pubblicitaria della rivista L’industria meccanica) accanto a quelli tradizionali.
Benedetta guerra. Intanto, i fattorini di Rinaldi continuano a correre per la città, con una divisa rossoblù. È un successo immediato, soprattutto nel mondo degli affari. Rinaldi prospera — si occupa anche di telegrammi — dal 1923 al 1947, aprendo succursali a Roma, Torino, Napoli e Bari: non interrompe il servizio neppure sotto i bombardamenti della Seconda guerra, anche se, essendo gli uomini al fronte, comincia a reclutare plotoni di ragazze in bicicletta. Tornando al tema generale, il periodo bellico è quello che, in Italia, conosce il massimo sviluppo dei servizi postali privati ( anche se qualcosa del genere era già capitato nel 1918, a Udine, quando il municipio aveva organizzato un proprio servizio di recapito, durante l’occupazione austriaca, perché la gente si rifiutava di andare a ritirare la posta all’ufficio istituito dagli occupanti, un Etappenpost militare). Ma, fra il 1944 e il 1945, nel Nord Italia c’è una vera e propria proliferazione di sistemi di recapito indipendenti dalla posta tradizionale. Concorrevano a determinare questa situazione diversi fattori: la situazione disastrosa della rete ferroviaria e i pericoli dei lunghi tragitti stradali, nonché, in qualche caso, la creazione di vere e proprie enclave partigiane all’interno del territorio compreso nella Rsi. Molti piccoli comuni del Piemonte, della Lombardia e del Veneto organizzano un proprio servizio — sostanzialmente persone che si muovevano in bicicletta o anche a piedi — per raggiungere il più vicino ufficio postale rimasto in attività. Per questo, in diversi casi — per esempio, a Castiglione d’Intelvi, a Pinzano sul Tagliamento, a Aramengo e altri comuni dell’astigiano — vennero stampate apposite marche a segnalare il pagamento di una sovrattassa. Davanti alle difficoltà sempre crescenti, furono organizzate anche due iniziative a raggio più lungo, quelle ricordate all’inizio: la Coralit ( Corrieri Alta Italia) e la Seis ( Società Espressi Italia Settentrionale). Una vera e propria supplenza rispetto alla posta della Repubblica sociale: in questi casi la corrispondenza era trasportata da una regione all’altra, anche se il mezzo restava il medesimo, una faticosissima bicicletta.
Ritorna l’identità nazionale. A Milano, Rinaldi continua la sua attività ( sfrutta anche i tubi della posta pneumatica) e, alla fine della guerra, si fa trovare pronto anche ad offrire nuovi servizi, al passo coi tempi, distribuendo, ad esempio, le tessere per le razioni alimentari. Andando verso il boom economico, la ditta prospera: le foto degli anni Cinquanta ci rendono una vita aziendale un po’ paternalista — bottiglie di spumante e grandi applausi al proprietario per chissà quale celebrazione — ma fervida e, soprattutto, segnata dalla crescita dei numeri: nel 1979, erano 120.000 gli espressi recapitati quotidianamente e più di 250 i dipendenti. Quindici anni dopo, Rinaldi si fonde con un concorrente, L’Espresso ( nata, quest’ultima, nel 1946): assieme, danno vita a quella che, al tempo, è la più grande impresa di recapito privata in Italia. La quale viene poi inglobata in Tnt. Per riacquistare, lo scorso anno, un’identità nazionale con la nascita di Nexive, piattaforma postale che raggiunge l’ 80% delle famiglie italiane e movimenta ogni anno 500 milioni di buste.
La Rinaldi viene assorbita nel 1998 da Tnt. Dal 2014 è invece in piedi la nuova piattaforma, che raggiunge l’ 80% delle famiglie italiane emovimenta 500 milioni di buste
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