Non dimenticare Seyfo
La strage dei cristiani siriaci, caldei e assiri durante la Prima guerra mondiale fu una pagina tragica e dolorosa della storia. Che insegna ancora qualcosa
Il 2015 è il centenario del massacro degli armeni nell’Impero ottomano: Metz Yeghern, il Grande Male, in armeno. Cominciato il 24 aprile 1915, fece più di un milione di morti. È una vicenda di cui si è discusso fin dalla Prima guerra mondiale, seppure ancora oggi non pochi turchi la rifiutino. Ma c’è un’altra storia, davvero dimenticata, parallela a quella armena: quella di Seyfo, in siriaco la spada. C’è stato un tempo della spada per i cristiani siriaci, assiri, caldei, sterminati a centinaia di migliaia e scacciati dalla Turchia orientale e dal Nord Iraq, allora province ottomane. I cristiani dovevano scomparire: fu una pulizia etnica per turchizzare il Paese, condotta in nome dall’odio al cristiano per mobilitare le masse turche o curde. Di Seyfo non si è parlato per decenni. Niente si diceva nel 1986, quando visitai la Turchia orientale, vedendo fantasmi di comunità cristiane e i loro monumenti cadenti, in città dai nomi poco noti, come Diarbekir, Mardin o nella regione del Tur Abdin. Qui, per più di un millennio, accanto a monasteri meravigliosi, i siriaci avevano vissuto con i curdi. Si percepiva una grande storia, ma eravamo all’ultima pagina.
VIOLENZE CURDE.
Chi poteva emigrava in Europa. C’era un silenzio fitto sui massacri, evocati appena nell’intimità delle famiglie, tutte segnate dalle violenze del 1915. Pochissimi, in grande confidenza, accennavano alle storie dolorose di Seyfo, ma soprattutto alle violenze curde ancora in atto. Sembrava che tutto - la storia del 1915, i turchi e i curdi del presente - congiurasse per cancellare queste comunità, pur sopravvissute a una storia difficilissima di secoli. Un anziano monaco, da giovane, testimone dei massacri, mi confidò: « Siamo alla fine » . Eppure la storia riserva sorprese. Certo non torna indietro. Ma ci sono pagine nuove. I monumenti cristiani sopravvissuti nelle terre di Seyfo, ora restaurati, sono un’attrazione per i turisti turchi. Un primo cambiamento: il governo turco ha permesso i restauri, pagati dai cristiani emigrati. Poi i curdi sono cambiati: hanno chiesto perdono ai cristiani per i massacri. Un possidente curdo ha dato una parte dei suoi beni ( quelli espropriati ai siriaci nel 1915) al centro per lo studio del genocidio, intitolato a Seyfo. A Mardin, il sindaco curdo ( eletto) ha voluto, come vice, una giovane cristiana. Nel corso del 1915, si sono tenuti vari convegni su Seyfo: a Roma, Berlino, Beirut e altrove. In tutti, aleggiavano domande angosciose sui cristiani oggi in Siria e Iraq, nel timore che la storia del 1915 si potesse ripetere magari con altri attori e motivazioni. C’è però oggi la consapevolezza che raccontare la storia del 1915 serve e servirà a tutti: ai discendenti dei cristiani colpiti, ai curdi e ai turchi, all’islam. Questa storia tragica ricorda all’arroganza totalitaria - nazionalista o religiosa - che vivere insieme tra diversi è condizione normale della società a tutte le latitudini. Abbiamo il dovere di ricordarlo anche perché, per tanto tempo, ci si è dimenticati che vivere insieme è stata la realtà di tante stagioni della storia.