Da che parte sta Erdogan
Le ultime scelte del presidente lascerebbero supporre un ritorno della Turchia al fianco della Nato e contro l’Isis. In realtà...
Ache gioco sta giocando il presidente turco Erdogan? Ufficialmente si è deciso a unirsi allo schieramento delle forze anti- Isis. Fino a poco tempo era sospettato — per usare un eufemismo— di facilitare, servendosi dei suoi servizi di sicurezza, il passaggio attraverso la frontiera con la Siria dei jihadisti europei venuti a combattere fra i ranghi dell’Isis, se non addirittura di consegnargli direttamente le armi. Ora invece il governo turco ha deciso di dichiarare la sua “guerra al terrorismo”. Da qui la riapertura agli Stati Uniti della base Nato di Incirlick, per lanciare operazioni aeree da una postazione più vicina alle zone di combattimento; poi la stessa aviazione turca ha organizzato un raid contro gli avamposti dell’Isis. Subito la Nato ( ce l’eravamo dimenticato, ma la Turchia ne fa parte) ha salutato con favore questo cambiamento di rotta, esprimendo a Erdogan “totale solidarietà”. Se si dimostrasse tale, questo ritorno della Turchia dalla parte della Nato e contro l’Isis sarebbe di per sé una buona cosa. Ed è evidente che il governo turco miri a costituire in territorio siriano una zona di sicurezza; se non altro per permettere il ritorno di circa un milione e ottocentomila rifugiati siriani ospitati nei campi turchi.
IL VERO VOLTO.
Ma dietro questa facciata, e nonostante l’accordo manifestato all’unanimità dagli altri membri della Nato, si cela il vero volto di Erdogan, preoccupato più che altro di indebolire l’Hdp, il partito filo- curdo e il suo leader Demirtas, colui che alle ultime legislative ha privato Erdogan della maggioranza assoluta che gli avrebbe permesso di continuare a orientare il governo a suo piacimento, servendosi della dicitura di “Repubblica presidenziale”, per instaurare un regime autoritario d’ispirazione islamista. Ben presto è emerso che per Erdogan era fondamentale bombardare non tanto le postazioni dell’Isis quanto quelle del PKK, rompendo di fatto una tregua che nel 2012 aveva interrotto trent’anni di conflitti. Il trucco c’è, e si vede: i curdi vengono accusati di atrocità contro le forze turche che, per tutta risposta, bombardano le postazioni curde; ma l’occasione è ghiotta per accusare, e possibilmente portare sul banco degli imputati di una giustizia agli ordini del premier, il leader dell’Hdp Demirtas. Il tutto per organizzare nuove elezioni legislative, sperando di annullare il successo dell’Hdp ( 13% dei voti), e ritrovare così il margine di manovra perduto, facendo affidamento, se necessario, sull’estrema destra nazionalista, totalmente ostile ai curdi. Questi ultimi, e in particolare i peshmerga che combattono in Iraq, sono stati finora il miglior baluardo contro l’Isis, e il principale alleato sul campo degli occidentali. È impossibile non rendersi conto della cattiva fede del presidente turco. Anche per gli americani non sarà facile uscire da questo trabocchetto: la concessione della base di Incirlick, reclamata a gran voce dagli Stati Uniti, rischia di essere pagata a caro prezzo dai curdi. Si può, come fa Erdogan, mettere sullo stesso piano i curdi di Turchia, anche fossero membri del Pkk, e l’Isis? La verità è che l’atteggiamento di Erdogan infastidisce sempre di più Stati Uniti ed Europa. E proprio l’Europa ha chiesto al governo turco di fare passi avanti nel processo d’integrazione della popolazione curda. Quanto agli Stati Uniti, forse contano sul progressivo indebolimento di un Erdogan che un giorno potrebbe stancare anche il suo popolo.