Neo razzismo, eterna xenofobia
Bisogna ricordare a certi leader dissennati che c’è un po’ di Mosè in ogni individuo che cerca di fuggire per vivere meglio altrove
Intanto la campagna mediatica dell’odio verso lo straniero- diverso continua inarrestabile. La filosofia della ruspa irresponsabilmente sparsa a piene mani per la gioia dei fascisti di CasaPound e di Forza Nuova dilaga senza che in realtà scatti un vero allarme etico- culturale. L’orrore a cui assistiamo in questa brutta estate va chiamato con il suo nome: neo- razzismo, eterna xenofobia. Perché, come ha ricordato Donatella Di Cesare sul Corriere della Sera, gridare oggi all’africanizzazione non è diverso dal monito lanciato dai nazisti tedeschi contro l’ebraizzazione della Germania negli anni Venti e Trenta. E noi assistiamo quotidianamente alle smargiassate di leader dissennati pronti ad attizzare focolai d’incendio e a definire anime belle e vispe terese “buoniste” chiunque cerchi di contrastare l’imbarbarimento che loro propugnano. I nostri eroi chiamano così i cittadini a rivoltarsi contro chi li governa, a scontrarsi con poliziotti che fino a ieri invocavano per la propria sicurezza. E magari a sogghignare alla notizia che qualche “buontempone” di Milano ha pensato bene di lasciare in giro una testa di maiale in spregio alla fine del Ramadan. Certo chi governa oggi ( come chi governava ieri) non si dimostra all’altezza. La politica, totalmente inadeguata e lasciata sola dall’egoismo europeo, fa quel che può. Annaspa, ma fa. Fenomeni non soltanto nostrani. Ogni giorno, nel mondo, c’è chi invoca separatezza, nuovi sbarramenti, chiusura di frontiere ( Ponti& Muri del 26 settembre 2014 segnalò un già allora tristemente significativo studio dell’Università del Quebec in proposito). In nome della libertà o della sicurezza o della sovranità nazionale, si continuano a erigere barriere. Buona ultima è arrivata l’Ungheria, che ha appena iniziato a costruire una muraglia anti clandestini lungo i 175 chilometri di confine con la Serbia. È arrivato il momento di dire qualcosa. E di dirlo a voce alta. Un amico intelligente, David Bidussa, sere fa parlava con disappunto di coloro che si indignano senza sofferenza. Vogliamo protestare ma credendoci fino in fondo, “soffrendo”? Facciamolo. Ricordandoci, per esempio, che c’è un po’ di Mosè in ogni individuo che cerca di fuggire per vivere meglio altrove nell’interesse delle generazioni future.