Un’Adorazione, anzi un esercizio di stile
Opera densa e corposa di Alessandro Rosi, che si compiace dell’affollarsi di figure dai panneggi rigonfi e plastici
Tra i pittori che hanno avuto una nuova vita, risalendo da un passato misterioso, vi è il fiorentino Alessandro Rosi, lungamente confuso con Sigismondo Coccapani. Partendo dagli affreschi documentati nella Galleria di Palazzo Corsini, riconosciuti da Alessandra Guicciardini Corsi Salviati, e già citati da Pellegrino Antonio Orlandi nel suo Abecedario pittorico, una gran parte delle opere riferite a Sigismondo Coccapani, anche in virtù di alcuni riconoscimenti di Roberto Longhi, sono state trasferite ad Alessandro Rosi. La studiosa che si è occupata specificamente del Rosi, pubblicando la prima, esauriente monografia, Elisa Acampora, sancì questo passaggio, in un articolo dal titolo illuminante: « Sigismondo Coccapani: un artista equivocato » ( in Antichità viva n° XIX, 1990). Rosi fu allievo di Cesare Dandini e maestro di Alessandro Gherardini. La sua pittura, oggi perfettamente riconoscibile e accattivante è, tra quelle dei pittori fiorentini, certamente la più barocca per un compiacimento dei panneggi e un affollamento dello spazio che vanno ben oltre la levigatezza del maestro.
RICONOSCIMENTO DI MERCATO.
Dice bene l’Orlandi, in efficace sintesi: « Riuscì bravo disegnatore ; dipinse di gran macchia, e rilievo, eppure comparve tenero, vago e finito, sia a olio come a fresco » . A partire dal San Sebastiano curato dalle pie donne, apparso a un’asta Christie’s più di un quarto di secolo fa, e riconosciuto da Giovanni Pratesi, le opere di Rosi sono lentamente riemerse, con ottimo riconoscimento di mercato parallelo alla rivalutazione critica. E, d’altra parte, la personalità pittorica del Rosi è così forte che, una volta individuatane la cifra, è assai difficile confonderlo. Nessun dubbio, allora, che appartenga a lui una piccola ma assai intensa e armoniosa opera da me reperita, dopo i consueti secoli d’oblìo, in una ricca quadreria di un palazzo in Val d’Era, di cui non sono autorizzato a indicare l’identità. Si tratta di una tela di piccole dimensioni ( cm 46x60), probabilmente modelletto finito per una pala più grande, di varia e popolosa composizione. Una bella, densa e corposa Adorazione dei pastori, tra le più articolate e ariose di un soggetto pur tanto frequentato. Il pittore appare compiaciuto dell’affollarsi di figure dai panneggi rigonfi, plastici, secondo la sua ben riconoscibile maniera. Gli elementi compositivi costituiscono un patchwork particolarmente riuscito. I pastori a sinistra che, accompagnati dal cane, portano l’offerta di un agnello; la Madonna al centro, con ampi e ridondanti panneggi, in adorazione del bambino poggiato su una cesta e, letteralmente, « svelato » ; il pastore sulla destra, con le muscolose braccia aperte, e il cappellaccio posato sul cesto di pane in offerta. In primo piano, una rustica staccionata. In lontananza, dietro le rovine antiche, l’annuncio dell’angelo. L’opera è quasi un esercizio di stile, nello spirito di Pietro da Cortona e in anticipo su Luca Giordano, ed è affine ai due Baccanali per il principe Ferdinando, ora in Palazzo Thiene a Vicenza. Rosi mostra, più sobria, la medesima sintassi del Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia, ritmo, varietà, facilità di composizione, per il puro piacere della pittura. Una pittura intrinsecamente barocca, di assoluta sensualità, in uno stile assolutamente originale. Alessandro Rosi era nato, secondo le fonti e l’emergenza degli studi che ne hanno reso ricco il catalogo, nel 1627. Suo principale impegno, nella piena maturità, fu la direzione della Arazzeria medicea, a partire dal 1677. Di questo impegno restano molti cartoni; ma un misticismo sensuale e barocco Rosi lo esprime in tutte le sue sempre ricche composizioni, piene, per una irrefrenabile inclinazione all’horror vacui: penso alla Santa Maria Maddalena dei pazzi, o anche alle Tre Grazie e Paride o all’Agar e l’angelo. Nella frigida Firenze, Alessandro Rosi vuol far capire il Barocco. Un’impresa difficile. Per questo appare esuberante, ridondante, di altissima retorica. Il più facondo, prima che fecondo, pittore fiorentino del Seicento, di nobilissima eloquenza. Alessandro Rosi muore a 70 anni, nel 1697, colpito da una colonna caduta da una casa di via Condotta a Firenze. La morte singolare di un uomo curioso e bizzarro.