Ritorno alle origini
La nuova legge antiterrorismo rischia di far fare un passo indietro al Paese
A fine luglio il parlamento di Tunisi ha finalmente approvato la nuova legge sul terrorismo, di cui si discuteva da anni, ma che ancora non era stata emanata. La legge avrebbe dovuto sostituire quella promulgata da Ben Ali nel 2003 e ancora in vigore fino a due settimane fa, che presentava oggettivi problemi legati all’ambiguità del termine “terrorismo”, che di fatto trasformava quella legge in uno strumento per reprimere le forme di dissenso al regime, etichettando molte attività di opposizione come atti connessi al terrorismo. Complice anche il rinnovato clima di unità nazionale e l’impellenza di nuovi strumenti per combattere il terrorismo dopo i due gravissimi attentati del museo del Bardo e della spiaggia di Sousse, quella legge è stata finalmente cambiata. Tutto bene, dunque? In realtà no, ed è questo il punto preoccupante della vicenda. Ciò che si rischia, nella Tunisia attuale, è che l’ondata di terrorismo possa produrre da parte delle forze istituzionali una reazione tale da far piombare nuovamente il Paese in un clima di dura repressione e limitazione delle libertà politiche e civili. Se si legge il nuovo testo approvato a larghissima maggioranza (quasi unanimità, a parte dieci voti contrari), infatti, ci si rende conto che per certi aspetti non solo la legge del 2003 non è stata migliorata, ma in alcuni passaggi è addirittura peggiorata. E così, ecco che, secondo un rapporto di Human Rights Watch, la definizione di cosa costituisca attività terroristica è talmente ambigua e ampia da poter essere applicata in maniera soggettiva a qualsiasi atto di opposizione e, addirittura, da far ricadere sotto l’accusa di terrorismo tutti coloro che difendono i diritti degli accusati di terrorismo che lamentano condizioni di detenzione al limite del sopportabile. Quest’ultima, del resto, è un’altra questione da non sottovalutare: prima di questa legge, il periodo di detenzione preventiva di una persona era massimo di sei giorni, mentre adesso può accadere che una persona venga detenuta e messa in isolamento, anche senza prove, per 15 giorni. Con il rischio di torture e maltrattamenti. E poi la ciliegina sulla torta: reintrodotta la pena di morte, sulla quale vi era una moratoria dal 1991. E’ lecito chiedersi, a questo punto, quanto la spirale di violenza che sta colpendo la Tunisia non rischi di attivare meccanismi di repressione tali da mettere a repentaglio il processo di democratizzazione in corso e gli immensi passi avanti che comunque, almeno dal punto di vista politico, sono stati compiuti dal 2011 ad oggi.