Nel Seicento il mondo diventa global
I segnali si vedono nelle tele di Vermeer. Dove sbucano merci d’origine remota. Ormai sono gli uomini stessi a spostarsi
Diciassettesimo secolo. Esplorazioni, commerci, imperi nascenti, altri che crollano; gli oggetti e i costumi esotici, da spaventosi che erano, diventano interessanti, persino gradevoli, fino a diventare invisibili, quotidiani. È la nascita del mondo globalizzato, un mondo di scambi, aperto e interconnesso, organizzato come la rete di Indra, il signore dei lampi e dei tuoni nella mitologia indù. Di questa “ragnatela”, vasta come il pianeta, « nella quale nuovi fili convergevano in continuazione a ogni nodo, stabilendo collegamenti a sinistra e a destra, oppure dall’alto in basso e viceversa, in un infinito annodarsi e riannodarsi » , più fitta « in certi luoghi favoriti sia dalla loro collocazione, sia da ciò che vi si produceva, oppure vi si commerciava » , racconta la storia il sinologo Timothy Brook ( con cattedra a Vancouver e Shanghai) in un grande libro, Il cappello di Vermeer. È nei quadri di Johannes Vermeer, nelle sue luci e trasparenze, ma in particolare nei suoi oggetti di scena, le porcellane, i cappelli, le mappe, i compassi, le monete d’argento e i tappeti, che Brook vede riflettersi, come esterni che si specchiano nell’iridescenza delle collane e degli orecchini della donne vermeeriane, i luoghi vicini e remoti dell’economia globale. Di questa grande epopea delle merci, delle usanze, delle lingue e delle culture del mondo percorso da navi mercantili e da flotte militari, indagato da esploratori incuranti delle tempeste e da scienziati senza pregiudizi, le tele di Vermeer non sono una semplice testimonianza. Sono una sorta di catalogo Vestro. Delft, in Olanda, dove l’artista visse e lavorò dal 1632 al 1675, quando morì a soli 43 anni, era uno dei nodi della rete globale. A Delft c’erano gli uffici e i magazzini della Voc, la Compagnia delle Indie orientali, che « rappresenta nella storia del capitalismo ciò che l’aquilone di Franklin rappresenta nella storia dell’elettronica: l’inizio d’un processo all’epoca del tutto imprevedibile » . Vermeer, in uno dei suoi rari paesaggi urbani, dipinge proprio i capannoni e i battelli della Voc nel porto di Delft. Come le porcellane cinesi che arrivano dall’Oriente estremo, o come il cappello dell’uomo che corteggia la ragazza in un suo celeberrimo dipinto, un cappello il cui feltro è ricavato dalle pelli dei castori canadesi scuoiati dai pellerossa della federazione irochese, anche i docks di Delft, sotto una fuga di nuvole scure, raccontano storie di mondi sempre meno remoti.
Una moneta sul bilancino. Brook entra ed esce dalle tele di Vermeer ( e da quelle d’alcuni artisti minori) come da una finestra di Magritte. Una donna, che ha dietro le spalle un quadro in cui Cristo Gesù pesa i peccati degli uomini alla fine dei tempi, pesa da parte sua una moneta d’argento sul bilancino: è la porta sulle miniere andine, i cui tesori si sono sparsi ovunque pagando le spese delle conquiste portoghesi, ora agli sgoccioli. Nella tela chiamata Partita a carte di Hendrick van der Burch un bambino nero in livrea versa vino da una caraffa. Naufraghi, schiavi, servitori, diplomatici, bucanieri: anche gli uomini, come le merci, cominciano a muoversi tra i continenti. Ad Amsterdam è nata nel 1607 la prima Borsa, come racconta Neal Stephenson nel suo Ciclo barocco, un grande ciclo narrativo. Gli archibugi olandesi sbaragliano i nemici del libero commercio. Baruch Spinoza, altro grande olandese, affila in questo stesso secolo l’arma più tagliente del capitalismo: il razionalismo, che risulterà letale alle chiese e alle corone.