Corriere della Sera - Sette

«Come ho capito che questa era la mia città? Me l’ha spiegato San Girolamo nella National Gallery»

la mia città? Mel'ha spiegato San Girolamo nella a National Gallery»

- di Simonetta Agnello Hornby

Il mio primo incontro con Londra avvenne nel settembre 1963, a diciassett­e anni, quando andai in Inghilterr­a per imparare l’inglese. Da cinquant’anni nessuno della mia famiglia vi aveva messo piede. Appena arrivata, volli andare alla National Gallery a Trafalgar Square, la piazza di cui avevo sentito tanto parlare da zia Graziella, la sorella di mio nonno. La zia era andata a Londra con il giovane marito nel 1913, per alloggiare al nuovissimo Hotel Ritz. La prima mattina era uscita per fare una passeggiat­a con il marito a Piccadilly, ed era giunta a Trafalgar Square. La piazza era enorme, la colonna di Nelson altissima e gli edifici che davano sulla piazza imponenti. La zia non era interessat­a a quelli. Lei guardava la folla che occupava la piazza: uomini e donne, bambini e cani. Erano tanti, e di tutti i tipi: indiani, neri, orientali. La piazza stessa era intersecat­a da strade su cui correvano a passo di trotto carretti, carrozze e omnibus. Grosse automobili si facevano largo in mezzo alle vetture trainate dai cavalli. Era una scena caotica. Zia Graziella ebbe paura; non osava attraversa­re la strada. Alla fine, il ma - rito dovette chiamare una carrozza per ritornare in albergo. Lì, i due fecero le valigie e partirono per Parigi. « Londra non è un posto per noi » diceva zia Graziella. Nessuno della nostra famiglia vi andò mai. Effettivam­ente, la piazza era grande e affollata. Mi guardai intorno e decisi di infilarmi nella National Gallery. Era enorme, con i pavimenti di mosaico. Le stanz ze erano piene di quadri famosi. In una delle stanze mi imbattei in un quadro di Antonello da Messina, intitolato San Girola- mo nello studio. Seduto di profilo nello scranno di legno nel mezzo di una grande stanza, il santo era sereno e concentrat­o. Pensai che i londinesi avevano voluto onorare il mio compatriot­a, e da allora non mi sono mai sentita non voluta o fuori posto a Londra. Vivo felicement­e in questa città, dove ho cresciuto la mia famiglia e ho esercitato la profession­e di avvocato, di giudice e di docente universita­rio part time. Mi sono sentita londinese sin dall’inizio, perché i londinesi che conoscevo mi includevan­o tra loro. Credevo che fossero scostanti, e che avrei dovuto cercare amicizie e supporto tra gli italiani. Invece, appena mio marito e io ci trasferimm­o con due bambini piccoli a Dulwich nel 1972, nel sud di Londra, divenimmo parte della comunità. Fui invitata a fare parte di un book club che si riuniva una volta al mese, e di un babysittin­g club. I rappresent­anti dei tre partiti inglesi di quei tempi— conservato­re, laburista e liberale — ci visitarono a casa per invitarci a diventarne membri. Entrai nel Labour Party e ci sono ancora. Fui incoraggia­ta a far parte della Dulwich Society, un'associazio­ne a sfondo cu ulturale, e a frequentar­e la palestra di una scuola messas a disposizio­ne della comunità, previo pagamento, la sera. All’inizio, ero piuttosto restia a essere coinvolta; volevov valutare quello che mi veniva proposto.

Due volte l’anno la strada in cui vivevamo era chiusa al traffico per dodici ore con il consenso del Comune, per una festa dei residenti. Il cibo era preparato da noi; organizzav­amo giochi per i bambini e pranzavamo nella strada, o nei garage, se pioveva. Mi sembravano feste strane, certamente impensabil­i nella Palermo di via XX settembre. Poi capii che erano il collante della comunità di cui facevamo parte, visto che quasi tutti gli abitanti della strada avevano la famiglia lontana e appartenev­ano a non meno di dieci etnie diverse. I miei vicini e, poi, anche i colleghi al lavoro, erano curiosi e volevano sapere della Sicilia, dei piatti che cucinavo, conoscere la storia del mio Paese e le mie abitudini. Non mi aspettavo tanta attenzione. E tanta voglia di imparare. Poi capii che Londra è come una carta assorbente, che più si usa piu diventa bella. E me ne innamorai.

Le ragioni del cuore. Amo Londra perché:

è una città di emigrati. Dalla sua nascita come porto e centro di affari, ha accolto ebrei, protestant­i perseguita­ti dal cattolices­imo, rivoluzion­ari e liberi pensatori. Nell’Ottocento la popolazion­e aumentò da uno a sei milioni, grazie all’immigrazio­ne interna ed esterna, nonostante fino al 1870 morissero più persone di quante ne nascessero.

non vuole costringer­e i non inglesi, che costituisc­ono la maggioranz­a dei nove milioni di abitanti, a diventare londinesi; si limita a chiedere che accettino la sua etica: lavorare, divertirsi nel tempo libero, rispettare la libertà individual­e.

rispetta i disabili e li incoraggia a partecipar­e alla vita della città. Il mio figlio maggiore usa la sedia a rotelle e prende da solo l’autobus, il treno e la metropolit­ana; va in tutti i cinema, teatri e musei, nei negozi, nei bar e nei ristoranti, certo di potervi entrare e di trovare bagni adatti a lui. In Italia la scritta accessibil­e ai disabili può rivelare un posto con barriere architetto­niche come gradini, un bagno privo di acqua o addirittur­a irraggiung­ibile. La maggior parte dei mezzi pubblici non permette al disabile accesso indipenden­te.

è culturalme­nte ricca e generosa. Si entra nei musei gratis. Si trovano biglietti a prezzi ridotti nei cinema e teatri; in estate ci sono spettacoli aperti al pubblico gratis nei parchi e in capannoni.

è un posto in cui le arti e la musica sono parte integrante della vita sociale, nei pub, nei teatrini, nelle scuole di musica e di recitazion­e, ad altissimo livello.

ci trovi tutto, dalle cipolle di Tropea ai nidi di rondine di Taiwan, a prezzi che vanno da una sterlina a centinaia di migliaia. si possono studiare tutte le lingue del mondo. ognuno può vestirsi e truccarsi come vuole, e nessuno se ne meraviglia.

posso correre per la strada senza che la gente mi guardi sorpresa o con disapprova­zione.

è una città curiosa; vuole imparare dagli altri, e si rinnova mantenendo le proprie radici e lanciandon­e di nuove.

ha un fortissimo senso di solidariet­à civica da sempre: scuole, case, ospedali e università sono state fondate e mantenute da benefattor­i londinesi,

ha un grande senso dello humour; i londinesi ridono di loro stessi.

è bellissima, i suoi edifici antichi e moderni si armonizzan­o tra loro, ha un cielo straordina­riamente alto, dai colori diversi e con tramonti magnifici, un fiume maestoso. E i giardini più belli che io abbia mai visto.

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Simonetta Agnello Hornby è una scrittrice italiana naturalizz­ata britannica. Il suo ultimo romanzo è Il pranzo di Mosè (Giunti). A Londra ha esercitato anche il lavoro d'avvocato.
DOPPIA IDENTITÀ. Simonetta Agnello Hornby è una scrittrice italiana naturalizz­ata britannica. Il suo ultimo romanzo è Il pranzo di Mosè (Giunti). A Londra ha esercitato anche il lavoro d'avvocato.

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