I dottori italiani che “curano” il cinema ora operano in Cina
Per il restauro facevano arrivare le vecchie pellicole fino a Bologna. Adesso aprono a Hong Kong, dove hanno messo le mani su 100 anni di film asiatici: «Qui li digitalizzeremo, anche se in Italia resterà il lavoro più delicato. E quelli trattati ogni ann
Hong Kong, Greater Cina, Giugno 2015. Siamo a Kwun Tong, sulla terraferma della ex colonia britannica. In questo quartiere i vecchi palazzi sdentati delle fabbriche in cui negli Anni 70 veniva prodotto tutto ciò che era Made in Hong Kong si stanno velocemente trasformando in caravelle di vetro e acciaio, in cui crescono di giorno in giorno le start up più operose e innovative, provenienti da tutto il mon- do. Oltre la porta di un montacarichi, in un palazzo di proprietà del regista Johnnie To, una piccola delegazione di giovani italiani sta allestendo nel caldo tropicale di inizio estate il quartier generale di una delle eccellenze tricolori che non rientra nelle solite categorie moda, design e buon cibo: il restauro cinematografico. Da oggi, cento anni di patrimonio culturale asiatico su pellicola sarà infatti in mani italiane. Bolognesi, per la precisione. Una squadra di under 40. Davide Pozzi ha 38 anni ed è il manager a capo dell’azienda bolognese L’Immagine Ritrovata, un piccolo esercito composto da 80 ragazzi sotto i 40 anni, cinefili, poliglotti, iperspecializzati e con una missione precisa: trasformare Bologna nel centro mondiale del restauro cinematografico. Per compiere questa impresa, dopo sette anni in cui le pellicole dei principali registi dell’Asia hanno percorso oltre 10 mila
chilometri per ritrovare la propria luce originaria raggiungendo l’Italia, hanno aperto anche un avamposto asiatico: « Le richieste di restauro di film provenienti da Hong Kong, Singapore, Taiwan, Filippine, Thailandia sta ormai crescendo in modo esponenziale » , spiega Pozzi, « ed è molto più semplice, economico e anche sicuro digitalizzare le pellicole, spesso uniche e di grande valore, in loco per poi spedire i file a Bologna per il restauro, piuttosto che farle arrivare fisicamente dall’altra parte del mondo » . L’obbiettivo, quindi, non è la delocalizzazione della forza lavoro ma esattamente il contrario: far crescere la realtà bolognese, italiana, facilitando semplicemente la logistica. « Se fino a oggi ricevevamo dall’Asia due o tre film l’anno, con la nuova sede di Hong Kong la previsione per i primi 12 mesi è di arrivare a 25 » . Un bel salto e non solo in termini di fatturato.
Macchine d’avanguardia. Nei nuovissimi uffici dal design minimalista al primo piano del Milkyway Building ( dal nome della casa di produzione cinematografica che Johnnie To ha fondato negli Anni 90 con il collega regista Wai Ka- Fai e che ha rivoluzionato lo stile noir tipico delle pellicole girate a Hong Kong) ogni singola stanza contiene una macchina altamente specializzata e manovrata dalle mani dei cinque primi restauratori italiani che sono venuti a dare il calcio iniziale. « Qui arrivano i film da digitalizzare » , racconta Marianna De Santis, responsabile del settore riparazione e della formazione delle giovani leve della squadra asiatica. « Le pellicole vengono prima lavate in una sorta di grande lavatrice a ultrasuoni » , spiega facendoci strada tra scatoloni e macchinari ancora in fase di allestimento, « utilizzando prodotti per il lavaggio a secco. Poi vengono passate fotogramma per fotogramma sotto un visore, tagliate con il bisturi chirurgico, riparate fisicamente da bruciature o danni chimici e rincolla- te. Si passa quindi alla scansione, sia delle immagini che audio e, infine, il file digitale grezzo viene spedito a Bologna”.
Correzione del colore. In Italia viene fatto il vero e proprio restauro digitale. « Un lavoro lungo, minuzioso, ricercato » , dice Pozzi, « che impiega almeno 44 persone. Per Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, che abbiamo presentato lo scorso maggio a Cannes, ci sono volute 2.400 ore di lavoro, molte delle quali a stretto contatto con il direttore della fotografia originale, Giuseppe Rotunno » . L’ultimo passaggio, la correzione del colore prima della consegna, può però essere fatto sia a Hong Kong sia a Bologna, in base alle esigenze del cliente e a quanto vuole interagire con il risultato finale. « Questo è un passaggio fondamentale, richiede una profonda conoscenza della storia del film e una grande sensibilità. Per il restauro di A better tomorrow di John Woo ( ha appena debuttato al Festival del Cinema di Shanghai, ndr) siamo venuti proprio in questo laboratorio a far visionare la copia digitalizzata al direttore della fotografia, e solo dopo la sua approvazione siamo andati a Pechino da Woo, una persona gentilissima e disponibile con cui sono comunque sempre rimasto in contatto » . Alla conquista dell’Oriente. L’Immagine Ritrovata è nata nel 1992 in seno alla Cineteca di Bologna grazie ai fondi europei per la formazione. Dal 2006 è diventata una srl di proprietà della stessa fondazione. Diversamente da quanto avviene nei grandi laboratori indiani, dove convergono le principali pellicole commerciali per un rapido make up prima della commercializzazione di dvd delle versioni ripulite e digitalizzate, sono la cultura cinefila e la ricerca che sta dietro a ogni scelta di ritocco gli elementi di unicità. « La nostra è una pura operazione filologica, non solo tecnica. Prendiamo in consegna una delle ultime copie della pellicola originale e da quel momento l’intera squadra comincia una lunga e approfondita ricerca di copie superstiti in archivi di tutto il mondo, dichiarazioni e interviste dei registi e dei direttori della fotografia se non sono più viventi, critiche, cronache, testimoni dell’epoca. Ogni schiaritura, ogni contrasto ha una sua ragione cinematografica, non è puramente estetica » . Questo è « il fattore di differenza » , come ama chiamarlo Pozzi, che ha permesso al metodo bolognese di diventare così accreditato nell’industria del cinema globale. Negli ultimi anni, dai laboratori dell’Immagine Ritrovata sono passati capolavori
« Le richieste del genere provenienti da HongKong, Taiwan Filippine e Thailandia sono in aumento verticale »
come quelli custoditi nell’archivio Chaplin, The Way of the Dragon di Bruce Lee girato proprio a Hong Kong nel 1974 ma anche un titolo profetico come La Cina è vicina di Marco Bellocchio, presentato lo scorso anno al Festival del Cinema di Venezia. Hanno restituito la giovinezza a Una giornata particolare di Ettore Scola e ai film di Sergio Leone, restaurati per conto di Martin Scorsese: da Per un pugno di dollari fino a C’era una volta in America, con l’aggiunta dei famosi 25 minuti mancanti della versione originale reperiti nello scantinato di una delle ville romane del regista. « Lavorare con Scorsese è complesso ed entusiasmante al tempo stesso, lo raggiungo in giro per il mondo » , dice Pozzi. « Ufficialmente non ha mai tempo, ma appena si siede davanti a quelli che dovrebbero essere solo tre minuti di revisione, non si riesce più a farlo uscire dalla sala di proiezione. Cominciano a scorrere i ricordi, gli aneddoti, il tempo si annulla. Il tutto per la disperazione della sua assistente, che è responsabile della sua fitta agenda quotidiana » . È stata firmata dal team dell’Immagine Ritrovata anche la versione che ha vinto l’Academy Awards di Nuovo Cinema Paradiso, quest’ultima in arrivo a Hong Kong per il Festival del Cinema Italiano il prossimo settembre.
Cina sempre più vicina. Restaurare il patrimonio in pellicola della storia del cinema asiatico è una doppia sfida. Una sfida politica, quando si tratta degli archivi di Stato in mano a Pechino, che passa attraverso una crescente rete di connessioni diplomatiche, presentazioni, garanzie e tentativi di approccio. È il “metodo cinese” conosciuto da tutti coloro che fanno business con il Dragone. Ma è anche una sfida contro la forza distruttrice della guerra e del clima terribilmente umido, con l’immensa produzione del Sud Est asiatico andata bruciata per ricavare argento dalle pellicole durante le guerre sino- giapponesi, oppure marcita successivamente in archivi mal protetti dall’eccesso di umidità, tipico di questa zona del mondo. Bede Cheng è il direttore della filiale di Hong Kong. Ex ricercatore dell’Hong Kong Film Archive, conosce Pozzi e il lavoro de L’Immagine Ritrovata da quando, nel 2008, ha partecipato a Bologna a uno dei loro corsi per imparare la tecnica del restauro. Da allora non ha avuto dubbi: « Era quello che avrei voluto fare nella mia professione: essere in grado di salvare le grandi pellicole della nostra storia » . Sono dunque anni che Pozzi tesse relazioni con questa città in cui converge il business asiatico. Prova del suo lavoro è il fatto che l’intera operazione di apertura a Hong Kong è costata mezzo milione di euro, una cifra irrisoria rispetto al mercato locale e, soprattutto, si è potuta realizzare senza il coinvolgimento di partner cinesi, una condizione quasi sempre necessaria da queste parti. « L’entusiasmo dei nostri clienti asiatici già consolidati e la fiducia nel progetto da parte dei protagonisti dell’industry locale ci ha permesso di trovare i migliori accordi, un affitto ragionevole e una tempistica agevolata nei pagamenti » . Il fatturato annuo de L’Immagine Ritrovata oggi è di 4,4 milioni di euro e l’Asia, nel progetto di Pozzi, « è destinata a crescere oltre l’attuale 30% » . “Ho una grande fiducia in questa nuova avventura”, conclude Pozzi, riordinando le proprie carte nello zaino da viaggiatore da cui pende la tessera Gold della Cathay Pacific. Gli rimane però un sogno nel cassetto, lontano dall’orizzonte asiatico. « Restaurare Jules e Jim. Il mio film preferito » .
« La nostra è un’operazione filologica, non solo tecnica. Cerchiamo le copie superstiti negli archivi di tutto il mondo. Con quello di Pechino è anche una sfida politica »