Serve maggiore aderenza alle terapie con i farmaci
Solo metà dei pazienti con patologie croniche assume correttamente i farmaci prescritti Fondamentale il rapporto di dialogo e fiducia con il proprio medico curante
La scarsa aderenza alle prescrizioni del medico è la principale causa di non efficacia delle terapie farmacologiche. Un fenomeno molto diffuso cui si associa un aumento degli interventi di assistenza sanitaria, dei casi di malattia e della mortalità con danno sia per i pazienti sia per il sistema sanitario e la società. In Europa, secondo i dati OMS, il costo della non aderenza alle terapie con i farmaci è pari a circa 125 miliardi di euro l’anno con livelli di aderenza al trattamento, in pazienti affetti da malattie croniche, che non superano il 50%. Costi di carattere economico che non si limitano, in questo caso, allo spreco di medicinali, ma si estendono a una maggiore richiesta di farmaci dovuta al peggioramento delle condizioni di salute di tali pazienti. Non affrontare questo tema cruciale per il benessere dei pazienti e del paese significa vedere crescere inevitabilmente la spesa farmaceutica nazionale complessiva (pubblica e privata), che nei primi nove mesi del 2014 è stata di 19,9 miliardi di euro, di cui il 75,6% rimborsato dal sistema sanitario. Ma che cosa si intende per “aderenza alla terapia”? Molto semplicemente è la decisione del paziente, condivisa con il proprio medico curante, di aderire a un trattamento farmacologico che prevede tempi, dosi e frequenza nell’assunzione del farmaco o dei farmaci prescritti per l’intero ciclo della terapia. Maggior aderenza significa minor rischio di ospedalizzazione, minori complicanze associate alla malattia, maggiore sicurezza ed efficacia dei trattamenti e riduzione dei costi per le terapie. Com’è ormai noto, la popolazione anziana è quella più a rischio sotto il profilo dell’aderenza alle terapie, specie in compresenza di più patologie. L’Italia è al secondo posto in Europa per indice di vecchiaia, con intuibili conseguenze sull’assistenza sanitaria a causa del numero elevato dei malati cronici. Dalle analisi contenute nel Rapporto dell’Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali (OsMed) 2014 emerge che poco più della metà dei pazienti (55,2%) con ipertensione arteriosa assume farmaci antipertensivi con continuità. Recenti studi osservazionali rivelano che quasi il 50% dei pazienti in trattamento con antidepressivi sospende il trattamento nei primi 3 mesi di terapia e oltre il 70% nei primi 6 mesi. I dati provenienti dai database amministrativi delle ASL mostrano che la percentuale di pazienti aderenti risulta solo del 39,1%, mentre per i farmaci ipolipemizzanti (statine) e gli antidiabetici la percentuale di aderenza è stata pari rispettivamente al 43,5% e al 61,7%. Bassi livelli di aderenza al tratta- mento (13,9%) si registrano anche per l’asma e la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). Per tutte le classi terapeutiche si registra in genere un’aderenza più bassa al Sud. Le cause della mancata o scarsa aderenza ai trattamenti sono di varia natura e comprendono fattori socioeconomici, fattori legati al si- stema sanitario, alla patologia, al trattamento e al paziente: tra le più comuni la complessità del trattamento, l’inconsapevolezza della malattia, il monitoraggio inadeguato del paziente, il decadimento cognitivo e la depressione, oltre alla scarsa informazione sulle terapie. Diverse sono le strategia per affrontarla. «L’aderenza terapeutica – afferma Fabrizio Gatti, medico di medicina generale a Roma – è direttamente proporzionale alla capacità del medico di relazionarsi con il paziente al quale spiegare quanto più possibile sulla terapia prescritta, dissipando i suoi dubbi e soddisfacendo le sue curiosità. Inoltre, particolare attenzione va rivolta all’anziano e al paziente con disturbi dell’umore (depressione) ai quali prescrivere pochi farmaci eventualmente a lunga durata e ben tollerati, con schema posologico semplice e chiaro. Ma, soprattutto, con l’esperienza si impara a conoscere bene i propri pazienti con i quali sviluppare un rapporto di dialogo e di fiducia con l’obiettivo di educarli ad avere una maggiore consapevolezza di se stessi e dei farmaci che assumono».