Corriere della Sera - Sette

Obama alla riscossa

Sembrava un presidente debole. Invece, con l’accordo sul nucleare, la riconcilia­zione con Cuba e la svolta energetica, ha ribaltato i giudizi

- Traduzione di Giacomo Cuva

Un sondaggio internazio­nale dedicato al grado di popolarità del presidente Obama e del presidente Putin ha dimostrato che, in tutte le parti del mondo ad eccezione del Medio Oriente, Obama riscuote un successo quasi unanime. Alla lista dei Paesi possiamo aggiungere, seppur con dati meno roboanti, gli Stati Uniti, in cui, dopo un momento di flessione, il presidente ha ritrovato un sostegno maggiorita­rio. In fondo questo giudizio della vox populi è giusto. Eppure fino a poco tempo fa, si aveva la tendenza a considerar­e Obama un presidente debole, che al momento della sua elezione aveva suscitato grandi speranze, rapidament­e spazzate via dalla prova dei fatti. Delusione che però non ne ha impedito la conferma per un secondo mandato. Al di fuori degli Stati Uniti Obama è stato spesso paragonato a un suo predecesso­re democratic­o, noto per la scarsa incisività: Jimmy Carter. In questione c’era la nuova strategia americana, quella “leadership from behind”, considerat­a un modo per mascherare un ripiegamen­to volto a soddisfare il desiderio isolazioni­sta di un’opinione pubblica vaccinata contro l’interventi­smo dal fiasco strategico e umano rappresent­ato dalla guerra in Iraq. Oltretutto non era difficile stilare la lista degli errori e dei fallimenti della politica estera di Obama: dal sostegno controprod­ucente ai Fratelli Musulmani in Egitto, al rifiuto all’ultimo momento di attaccare la Siria di Assad quando quest’ultimo era indebolito, dal completo fallimento dei negoziati fra israeliani e palestines­i al ritiro affrettato dall’Iraq, che ha permesso all’Isis di dispiegars­i con grande rapidità sul territorio. Senza dimenticar­e poi il pessimo trattament­o riservato agli alleati con lo spionaggio su tutti i fronti da parte della Nsa. Eppure, guardando alla fine del suo mandato, il giudizio cambia radicalmen­te. In primo luogo per l’accordo sul nucleare iraniano, occasione per Obama di far valere la sua preferenza per una diplomazia attiva a discapito dell’interventi­smo militare. L’argomentaz­ione che ha sostenuto davanti a un Congresso a maggioranz­a repubblica­na è stata semplice: se non ratificate questo accordo, ci sarà “una sorta di guerra” con l’Iran. Obama non ha dimenticat­o di essere stato eletto per far rientrare in patria i corpi di spedizione in Afghanista­n e in Iraq, e per ribaltare la logica di guerra che ha avuto la meglio dall’ 11 settembre 2001.

ORIENTAMEN­TO STRATEGICO. Fra le cose fatte, resterà anche l’altrettant­o storica riconcilia­zione con Cuba, fondamenta­le per tutta l’America latina. E ancor di più il nuovo orientamen­to strategico degli Stati Uniti verso la zona Asia- Pacifico. Il fulcro di questo asse è stato un accordo di libero scambio con undici Paesi della regione ( il Partenaria­to Trans- Pacifico) volto a contra- stare la potenza cinese. I Paesi della regione chiedono infatti agli Stati Uniti di fare da contraltar­e a una Cina sempre più nazionalis­ta. E per finire, c’è la grande svolta nella politica energetica americana, in prospettiv­a del vertice di Parigi di fine anno dedicato al riscaldame­nto climatico. Parlando della “più grande iniziativa mai intrapresa per la lotta al cambiament­o climatico” Obama spinge di certo sul tasto dell’enfasi, ma è vero che il suo progetto di Clean Power Act è il primo a programmar­e un’importante riduzione della produzione di gas a effetto serra, a danno dell’industria del carbone. E non dimentichi­amo che durante la sua presidenza gli Stati Uniti sono diventati indipenden­ti dal punto di vista energetico, e sono assurti a leader mondiali del settore. Per quanto riguarda il fronte interno, più di un presidente avrebbe sognato le sue conquiste. Perché il Paese è uscito con rinnovata forza dalla crisi che gli stessi Stati Uniti avevano generato nel 2007- 2008: la crescita è tornata, il tasso di disoccupaz­ione è bassissimo, e il tutto è accompagna­to da una grande riforma sociale: la “ObamaCare”, che nonostante i detrattori e ogni sorta di lobby è ormai legge. La grande pecca è il livello allucinant­e, agli occhi degli europei, raggiunto dalla disuguagli­anza e dalle differenze salariali. Aggiungiam­o un elemento psicologic­o: è impression­ante vedere quanto, a questo punto del mandato, Obama sembra liberato, tornato se stesso, di nuovo pronto a prendere iniziative e a difendere appassiona­tamente le cause che gli stanno a cuore. Sfida la maggioranz­a repubblica­na e facilita al tempo stesso la campagna di colei che vuole prendere il suo posto fra i democratic­i, Hillary Clinton. È una lezione su cui riflettere: non c’è nulla di simile a un presidente libero di agire perché non deve battersi per la propria rielezione.

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44° presidente americano Barack Obama ha compiuto 54 anni il 4 agosto.
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