Così l’idolo del Qatar prepara il salto che vale più dell’oro
Una giornata con Mutaz Essa Barshim, l’atleta che dopo 22 anni potrebbe superare l’asticella a due metri e mezzo. L’emiro promette: «Se ce la farà, avrà tutto ciò che desidera»
«La gravità non esiste. Saltare è uno stato della mente. Vuoi vedere? » . Doha, capitale del Qatar, otto del mattino. In attesa che il vento del deserto arroventi l’aria, Mutaz Essa Barshim ha voglia di mettere in discussione le teorie di Isaac Newton. Sfila dalla testa le cuffie da rapper, rimane in calzamaglia nera. Nemmeno una corsetta di riscaldamento. Otto passi larghi e precisi come l’arco perfetto di un compasso ( quattro quando, non oggi, ha il mal di schiena). Con la disarmante naturalezza con cui un albatros spicca il volo, scavalca due metri frontale, oplà, come fosse il primo ostacolo di un 110hs di altezza siderale. « Cosa ti avevo detto? » . Aveva ragione, questo figlio 24enne dell’Emirato che con voracità ha sbranato il risiko dello sport mondiale, riscrivendone regole, geografia e anche misfatti. Sette Mondiali da ospitare nei prossimi otto anni, dal ciclismo ( 2016) alla ginnastica ( 2018), dall’atletica ( 2019) al calcio ( 2022), più tutto il resto ( Diamond League, Motomondiale), sognando una gara di Formula 1 sul circuito cittadino e magari ( ma c’è il problema della data: in Qatar ad agosto fa troppo caldo) l’Olimpiade 2024 contro Roma e Parigi, sempre che lo scandalo corruzione che ha travolto la Fifa di Blatter col suo effetto- domino non raggiunga il Golfo Persico, sollevando una tempesta di sabbia e polemiche. Nel cuore di un cantiere grande come tutta la città di Torino ( 132 chilometri quadrati), con un sottofondo ininterrotto di martelli pneumatici, in un paesaggio urbano fatto di gru e bulldozer, dentro la bolla silenziosa e ordinata del campetto d’atletica accanto allo stadio dell’Al- Saad ( il club che ha appena offerto a Xavi, ex Barça, una pensione dora-
ta) si allena il ragazzo che, secondo gli aruspici in grado di leggere le viscere del salto in alto, presto sfratterà Javier Sotomayor dal suo attico con vista sulla storia: 2,45 m saltati a Salamanca il 23 luglio 1993, molte ere geologiche fa, quando Sara Simeoni spiccava i primi timidi voli verso l’immortalità. È Mutaz (“orgoglio” in arabo), un giunco di 188 centimetri per 65 kg, raro esempio di fuoriclasse autoctono in un Paese che con i petrodollari è abituato a comprarsi ciò che vuole ( compresi gli atleti), la bandiera che il Qatar sventolerà al prossimo Mondiale di atletica ( Pechino, 22- 30 agosto), sperando di piantare la bandiera marrone con le nove punte bianche sulla vetta della specialità.
Giù sul materassone. L’esistenza di Barshim, arrivato all’alto dal mezzofondo ( « Ho provato a correre, come papà, ma che noia… Saltare e cadere sul materassone, per un bambino agli inizi, era molto più divertente! » ) , si svolge due metri sopra il livello del mare dal 2009. « Mutaz aveva 17 anni. Quando l’ho preso non scavalcava i 2.05 m. Dopo appena quattro mesi era già salito a 2,25. Oggi vale 2,50 » . Cioè un clamoroso record del mondo destinato a durare. Stanley Szczyrba, 69 anni, ruvido polacco sedotto dalle lusinghe dell’Emiro, è una rara specie di allenatore. Insegna con rapidi cenni delle mani, seppellito sotto un cappellino liso che ha l’aria di fargli ombra da quando è venuto al mondo. Parla poco, e solo per massime. « La forza di Barshim è la velocità. Il suo talento è il mio talento. Gli insegno a saltare e a vivere. Dopo di me hanno buttato lo stampo. Nessuno avrebbe potuto vedere in Mutaz ciò che ho visto io la prima volta che gli ho posato gli occhi addosso. Lui mi rispetta. Mi usa. Si fida. E fa progressi » . La strana coppia, insieme al museo d’arte islamica disegnato dall’archistar cinese Ieoh Ming Pei ( lo stesso della piramide del Louvre) e alla corniche affacciata sul Golfo Persico, è la principale attrazione del Qatar. Quando l’omino in tuta e il grillo salterino vanno in giro insieme, il delirante traffico della città si ferma. Se l’inferno non avesse le fiamme, sarebbe Doha. La velocità con cui l’Emirato sta asfaltando il deserto per costruire il suo immenso playground multidisciplinare, fa spavento. La skyline sdentata di un mostro affamato di grattacieli e centri commerciali cresce di giorno in giorno, sostenuta nel suo esponenziale sviluppo da un’abbondanza che posa le fondamenta su un sottosuolo ricco di petrolio e gas, e presto sarà dotata di un sorriso a pianoforte. Inutile affrontare con l’enfant du pays Mutaz Barshim il tema scottante dello sfruttamento di esseri umani denunciato da Amnesty International in una giungla di minibus che trasportano operai ( 1.4 milioni di immigrati), notte e giorno, nell’immuta-
bile monostagione qatariota che si estende per 365 giorni all’anno, avanti e indietro con la città parallela da 200mila abitanti, Lusail City, che spunta a vista d’occhio alla faccia dei numeri delle morti bianche: 430 nepalesi e 567 indiani tra il 2012 e il 2014. L’ultimo scandalo su cui sta indagando l’Onu riguarda gli schiavi nordcoreani, privati del passaporto e affittati dal governo di Pyongyang all’emiro per edificare gli stadi del Mondiale. Nonostante le polemiche e le denunce, il progetto avanza. E sul quotidiano locale The Peninsula ci pensa il traballante Blatter a rassicurare gli animi: « Il welfare degli operai è migliorato. Siamo catalizzatori di una rivoluzione culturale per il Qatar » .
Il Maradona di Doha. Sarà. Ma vallo a dire ai cingalesi che trapanano tutta la notte senza assistenza sanitaria, agli africani che vivono attaccati al martello pneumatico e che non smettono di tremare nemmeno la notte, mentre il muezzin si sgola per farsi sentire sopra il frastuono e Barshim corica il suo prezioso carico in vista del Mondiale di Pechino, dei Giochi di Rio 2016 che sarà chiamato a dominare e di nuovi record. Se Mohammed Soulemain è stato il primo atleta qatariota a conquistare una medaglia olimpica ( il bronzo a Barcellona ’ 92 nei 1500), la certezza degli abitanti di Doha è che Mutaz sarà il primo a coprire d’oro l’Emiro, e viceversa: « Diamanti, case, cavalli di razza… Se vincerà l’oro e farà il primato del mondo avrà tutto ciò che desidera » conferma Mohammed Alkuwari, segretario generale della Federatletica. Di Barshim, a Doha, parlano come di Maradona a Napoli, di Messi a Buenos Aires, del tartufo ad Alba, delle apparizioni mariane a Medjugorie. « È l’ispirazione dei giovani, il faro di un’intera generazione, una perla rara » , gongola il numero uno federale, Dahlan Jumaan Al Hamad, che è anche vicepresidente della Iaaf ( la Federatletica mondiale). Qui in Qatar abbiamo 2.300 atleti sparpagliati per 10 club. Un centro tecnico e l’Aspire Academy, modernissimo polo per lo sport, che seleziona i talenti alla base » . Oltre a Mutaz, Ashraf Elseify, lanciatore di martello, e Abdelalelah Haroun, quattrocentista da 44’’ 68. Poco altro di qualità, per ora. Mail Qatar è un paese giovane ( nel 2025 compirà 200 anni) e l’emiro Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani ha fretta. Nel 1997 Primo Nebiolo volle a Doha il primo meeting di atletica, solo maschile, del Grand Prix. L’anno dopo, le donne qatariote ottenevano il diritto di voto, pioniere nel mondo arabo. Il Paese crede nello sport come motore del cambiamento, è evidente, e come vetrina internazionale per le proprie ambizioni. Hanno cominciato con i Giochi asiatici nel 2006. Poi si sono spinti ad osare di più. Sempre di più. L’Olimpiade? La decisione di candidarsi spetta all’Emiro. Il Mondiale? Salvo cataclismi, nel 2022 Doha sarà al centro del pianeta. La finale, tra 7 anni, verrà giocata il 18 dicembre in uno stadio natalizio, avveniristico e refrigerato. Inshallah. « La visione dello sport del Qatar è simile a quella di Steve Jobs nella tecnologia » , spiega Hassan al Thawadi, capo del comitato organizzatore che non bada a spese nemmeno per quanto riguarda le bustarelle: 5 milioni di dollari per ungere gli ingranaggi e i parrucconi del calcio, Uefa di Platini inclusa, secondo il Telegraph, poi la commissione etica della Fifa ha concluso che andava tutto benissimo. Testimonial di Qatar 2022 sono Zidane e Guardiola; sulla coda degli Airbus che atterrano nel nuovissimo aeroporto internazionale sorridono i faccioni di Messi e Neymar, sponsorizzati Qatar Airways con tutto il Barcellona.
Cambio di direzione. « Vogliamo vincere con atleti qatarioti o nati nel paese » , annuncia, con un sorprendente cambio di rotta, Alkuwari. Barshim, da questo punto di vista, è l’esempio più virtuoso che si possa desiderare. Dall’oro ai Campionati asiatici di Kobe ( 2.35 m) al bronzo di Londra 2012 ( 2.29), dal volo a planare di Eugene 2013 ( 2.40) all’argento iridato di Mosca ( 2.38), su su fino al record personale al meeting di Bruxelles 2014 ( 2.43), salto dopo salto Mutaz figlio di Essa Mohammed e della dolce Mona, appassionato di Nba e Playstation, grande tifoso di Kobe Bryant e della pizza ( « Mangio un po’ di tutto, con moderazione » ) , ha piazzato questo Stato più piccolo dello Yorkshire sulla mappa del pianeta. Il governo, non a caso, gli paga casa, trasferte, coach e materiali. « Quando Sotomayor faceva il record, io avevo due anni. L’ho visto saltare su YouTube, o nei filmati d’epoca. Se Stan dice che posso scavalcare 2.50, io gli credo » . Una ricorsa di otto passi per salire oltre l’impossibile. Chi ignora la gravità, ha per confine soltanto il cielo.
« Barshin è l’ispirazione dei giovani, il faro di un’intera generazione, una perla rara » , gongola il numero uno federale. E Doha punta ora tutto su atleti nati nel Paese