Piccoli giardinieri della savana crescono
A pochi km da Nairobi, grazie alla fondazione Sheldrick, c’è un singolare orfanotrofio dove giovani elefanti vengono accuditi come bambini in attesa di essere “adottati”. Proteggendoli così dai cacciatori d’avorio e consegnandoli al loro futuro, che è anc
Non so se è perché il mio amico da cui ha preso il nome di cognome faceva Tembo, che in swahili significa elefante, o se è perché aveva intuito che qui si sarebbe divertito, ma mio figlio Abraham all’aeroporto di Lusaka mi è saltato in braccio e ha detto « Papà vengo con te! » . Tanta era la sua determinazione che se fossi stato in pullman o in treno l’avrei portato. Giorgia è riuscita a convincerlo dicendo « Vedrai che il papà ti porterà a casa un bel regalo » . In realtà questa volta per tutti i miei cinque figli ho preso un unico gran regalo, grosso, enorme! Un’elefantina di 2 anni senza coda chiamata Alamaya. Tranquilli, non sono pazzo, non la porterò fisicamente a casa a Lusaka, ma l’ho adottata a loro nome versando 50 dollari al David Sheldrick Wildlife Trust, una fondazione che cura questi orfani particolari. Nairobi, Kenya, cinque del pomeriggio. Lasayen, 10 mesi appena compiuti, torna a casa dalla passeggiata pomeridiana nel parco dove l’erba profuma di menta, è stanco e affamato. Con Ndotto, il suo amico, ha corso e giocato tutto il giorno rotolandosi nel fango, consumando tutta l’energia che ha a disposizione nel suo corpicino di quasi 200 chili. Melchisedek, uno dei suoi papà adottivi fino a che non ritornerà nella savana, gli ha preparato un grande biberon con un paio dei 12 litri di latte che beve ogni giorno. « Gli diamo da bere a intervalli regolari, ma se ha fame fuori orario corriamo a prendere un altro biberon tiepido » , mi spiega Melchisedek, che aggiunge « Io dormo qui con lui in questo lettino sopraelevato, gli orfani soffrono molto la solitudine; ma non sta sempre con me, ruotiamo per non creare dipendenza emotiva se no alla fine sarebbe veramente dura separarsi » . Lasayen svuota il biberon in un attimo. Il tempo di due coccole e un ruttino sono sufficienti per farlo crollare in un sonno profondo, si risveglierà solo quando avrà ancora fame. Melchisedek gli ha legato dolcemente sulla schiena una coperta masai rossa e blu « per non ammalarsi nella fredda notte di Nairobi » e Lasayen sembra gradire molto. La natura lo ha dotato di grandi orecchie per ventilarsi, ma per scaldarsi aveva previsto la mamma che adesso non c’è più. Non sappiamo che fine abbia fatto; « è molto probabile che sia stata uccisa dai bracconieri » , dice uno dei guardiani: ventidue mesi di gestazione sarebbero potuti essere inutili senza l’intervento del David Sheldrick Wildlife Trust. Quando mi avvicino per accarezzarlo apre un occhio per richiuderlo subito, mi pare con un sorriso; è abituato alle coccole dei tanti visitatori che passano di qui. È piccolo, simpatico, amico dei tanti bambini che visitano l’orfanotrofio e non può che attirare le attenzioni di tutti; anche di chi, come me, ha adottato un altro elefantino. Ogni tanto la piccola e curiosa proboscide si muove
improvvisamente a scatti: chissà cosa starà sognando? Forse si ricorda di quando fu salvato dai ranger di Namunyak dopo che cadde nel pozzo che lo separò dalla mamma, o di quando il nuovo branco dove tentarono di reinserirlo lo rifiutò, o ancora di quando la squadra specializzata di soccorritori lo portò in salvo in aereo a Nairobi. Tutte questo resterà nella sua memoria per almeno altri trent’anni.
La zanna dei bracconieri. Melchisedek è un nome antico che ci riporta indietro al 2000 a. C. quando gli elefanti esistevano già da 15 milioni di anni. Ad occhio in Zambia, dove vivo, e in Botswana, dove sconfino volentieri ( e dove da gennaio 2014 vige il divieto assoluto di caccia agli elefanti), gli eredi dei mammuth non sembrano essere in pericolo, se ne possono vedere molti e facilmente. Ma purtroppo non è così. Nel 1940 in Africa c’era una popolazione stimata di circa 3.000.000 di elefanti, nel 1980 1.500.000 e oggi circa 500.000. Non c’è bisogno di strumenti matematici avanzati per capire che di questo passo l’estinzione non è lontana, e difficilmente l’Asia con i suoi circa 50.000 superstiti confinati in uno spazio vitale sempre più ristretto potrà dare un contributo decisivo alla conservazione della specie. Come mai gli elefanti stanno scomparendo? L’uomo sta mettendo a repentaglio la sopravvivenza degli elefanti in due modi: il bracconaggio per trarre profitto dall’avorio e la progressiva riduzione del loro habitat naturale a causa dei conflitti con le popolazioni locali che vedono negli elefanti dei nemici dell’agricoltura, della deforestazione e anche delle siccità. In alcuni paesi, soprattutto in quelli del sud est asiatico come Cina e Vietnam, l’avorio è ancora ricercatissimo. Per dare un’idea di che mercato stiamo parlando basta ricordare che un carico di circa tre tonnellatedi avorio provenienti dalKenya, diretto in Laos e confiscato lo scorso aprile in Thailandia aveva un valore di circa cinque milioni di euro. Il giro d’affari annuo legato al traffico illegale di specie protette è stimato intorno ai 20 miliardi di euro. Tanti da salvare la Grecia senza referendum! Risale al 1989 il primo serio tentativo di contrastare il commercio internazionale di avorio, quando il Cites, la convenzione internazionale che tutela a livello mondiale la fauna, e la flora, in pericolo d’estinzione tentò di fer-
mare il bracconaggio in crescita esponenziale dagli anni Settanta proibendo il commercio di avorio. La mossa funzionò per un ventennio, la popolazione aumentò sensibilmente, molti mercati sparirono insieme ai bracconieri, poi nel 2008 la scellerata decisione di vendere tutto l’avorio confiscato in quel periodo annullò tutti i progressi e in breve tempo la situazione peggiorò a livelli mai visti risvegliando la voglia di avorio. Si stima che più di 30.000 elefanti vengano ammazzati ogni anno in Africa, dove, a differenza dell’Asia, anche le femmine hanno le zanne. Un centinaio di elefanti al giorno vengono eliminati da gruppi organizzati di criminali che impiegano anche armi da guerra per massimizzare la produzione e il profitto. Non stupisce che organizzazioni come Al Shabaab in Somalia e Kenya, Lra tra Congo e Uganda, il Renamo in Mozambico e Janjaweed in Sudan si finanzino, o si siano finanziati, con i proventi del contrabbando dell’oro bianco. La lotta con i ranger africani è impari, la differenza di equipaggiamenti e armi notevole, i bracconieri usano aeroplani, elicotteri, sistemi satellitari, mitragliatrici e più di mille ranger sono stati uccisi negli ultimi dieci anni. I ranger, i politici e i doganieri sono facilmente corruttibili, per i ricchi trafficanti una mazzetta non rappresenta che un piccolo costo di gestione. In media due cinesi al giorno vengono arrestati nel mondo per contrabbando di avorio e spesso le zone vicine ai grandi cantieri cinesi in Africa sono quelle dove gli elefanti sono più colpiti. Non possiamo più vivere senza wi- fi, ma c’è chi ancora pensa che l’avorio cambi colore se immerso in un cibo avvelenato, che aumenti la fertilità e che sia efficace per diverse malattie dall’epilessia al mal di gola. Negli ultimi quindici anni in Cina sono stati brevettati farmaci a base di avorio per curare l’osteoporosi e la tubercolosi delle ossa. Ma anche gli Stati
Uniti, che sono il secondo mercato mondiale, non scherzano e come è stato messo in luce da una recente ricerca di Daniel Stiles a New York e in California si possono comprare abbastanza facilmente oggetti di avorio di provenienza illecita prodotti in Cina con materia prima africana. Sul mercato statunitense vanno cose più materiali come palle da biliardo, braccialetti, tagliacarte e anche calci di fucili e pistole. In Cina l’intarsio dell’avorio è considerato un patrimonio culturale al pari di kung fu, agopuntura e opera. Nonostante ciò lo scorso febbraio il governo cinese ha dichiarato una moratoria di un anno sugli acquisti di avorio dall’Africa, sei tonnellate di avorio sono state bruciate pubblicamente. Anche se per i più critici e diffidenti è solo propaganda e le ceneri sarebbero state conservate, è comunque una presa di coscienza del problema e un’ammissione di responsabilità senza precedenti. Spesso comportamenti dannosi o illegali sono alimentati dall’ignoranza, infatti sembrerebbe che nel recente passato la maggior parte dei cinesi non sapesse che bisogna uccidere un elefante per prenderne le zanne. Pensavano semplicemente cadessero da sole. « Molti in Africa non sanno che l’elefante è fon-