Quando Denis Mack Smith ritagliava la storia nei sotterranei del Corriere
Un luogo miracoloso, pieno di articoli, foto e documenti unici, che salvava la vita (professionale) dei giornalisti e rappresentava una miniera di informazioni per insigni studiosi. E che oggi imbocca una nuova strada
er chi era stato appena assunto quelle erano grotte del tesoro. Non si individuavano subito. Appena entrati al Corriere della Sera si restava impressionati dall’ingresso austero di via Solferino, dallo storico scalone, dallo stile inappuntabile, dalla rete di contatti attraverso il mondo. Appena chiamati a lavorare in Rizzoli, invece, colpivano l’enorme edificio che ospitava redazioni e stabilimento in quella che fino a pochi anni prima si chiamava via Civitavecchia e poi quell’aura da Italia del boom economico che a lungo ha sopravvissuto anche alla scomparsa del boom medesimo. Poi, dopo qualche giorno, si faceva la scoperta. Nei sotterranei, al Corriere, nelle soffitte alla Rizzoli ( ma nel corso degli anni numerosi sono stati i traslochi e probabilmente qualcuno ricorda ubicazioni diverse). Lì, si spalancava il meraviglioso mondo degli archivi. Una manna per tutti i giornalisti, con quelle buste accuratamente riempite di ritagli e fotografie ( e memorabili erano le arrabbiature degli archivisti quando si scopriva che qualcosa era fuori posto o, addirittura, scomparso) a illustrare e documentare biografie, analogie, precedenti, casistiche giudiziarie e situazioni politiche, contesti storico- geografici, aneddoti e citazioni. Nulla del genere c’era altrove ( almeno, non con tanta completezza ed estensione), nelle altre redazioni dei giornali italiani. Si sta parlando del tempo in cui internet non c’era, quando l’intoppo più banale— ma com’è il nome proprio del tale? — poteva diventare drammatico se si era in corsa col momento ineluttabile della
Pchiusura in tipografia. Come il settimo cavalleggeri, arrivava il soccorso dell’archivio: spesso, sotto forma di un rotolino di ritagli stretti dentro il tubo metallico spedito attraverso la posta pneumatica. Soccorso che, ovviamente, era decisivo anche quando si trattava di questioni ben più complesse. Leggere, magari, o impegnative: i flirt precedenti di una principessa Savoia o le scelte su cui era andato in crisi il tal governo di centrosinistra. Tutte fondamentali nella vita di un giornale.
Corde sensibili. Ecco perché la notizia apparentemente banale di un nuovo trasloco, anzi dell’unificazione in un’unica sede dei due archivi giornalistici tocca corde sensibili e profonde in chi vive ( e, soprattutto, ha vissuto) nel mondo della carta stampata. In questi giorni, infatti, l’archivio del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport ha lasciato via Solferino per andare a fondersi con quello della Rcs, a Crescenzago ( a fornirgli una salutare trasfusione, si potrebbe forse dire, visto che il secondo, da diversi anni, è in sofferenza...). Risale a oltre cent’anni fa, l’archivio corrieristico. Nasce ufficialmente, nel 1910, come biblioteca, e la cura – guarda caso – un neo assunto, Casimiro Wronowski, da un anno reclutato come giornalista. Obiettivo dichiarato è evitare errori o approssimazioni di redattori e correttori, i quali, nel caso, rischiavano licenziamenti in tronco secondo la rigorosa tradizione albertiniana. Quasi immediatamente, peraltro, rispetto a una biblioteca diventa qualcosa di più. Oltre alle opere di rapida consultazione ( dizionari, atlanti, sommari cronologici di storia,
classici della letteratura internazionale), qui si cominciano a raccogliere ritagli dei giornali sui principali fatti di cronaca, annate dei principali periodici del mondo, biografie dei personaggi illustri.
“Bracci destri” . Dipendono – sia pur indirettamente – dall’archivio alcuni dei numerosi record che può vantare il Corriere della Sera. Ad esempio, riuscì a mantene- re una foliazione più alta per gli standard dell’epoca ( fu il primo quotidiano italiano ad uscire con un’edizione di otto pagine fin dal 1906) anche grazie all’archivio che permetteva di rendere corposo e ben documentato persino l’articolo su una notizia giunta all’ultimo minuto in redazione ( per dire, corredare dignitosamente col catalogo delle sue opere maggiori la scomparsa improvvisa di un qualsiasi artista non solo italiano). E bisogna tener conto che qui non si parla dell’archivio storico- aziendale, quello dove sono conservati i carteggi e i documenti della direzione. Nel 2000, in occasione di un altro spostamento, un calcolo approssimativo aveva contato 500.000 buste con oltre venti milioni tra ritagli e fotografie. La crescita — in cinque lustri e con la proliferazione dei media— sarà sicuramente stata esponenziale. Inutile sottolineare quanta parte della storia, non solo italiana, sia depositata in quelle buste e nei moderni schedari metallici che le hanno accolte via via che gli stipetti in legno passavano di moda. Insigni studiosi ( uno per tutti: Denis Mack Smith) se ne sono accorti e, nel corso del tempo, vi hanno fatto ricorso ( anche perché qui, magari, si scovano particolari che altrove passano sotto silenzio). Piuttosto, forse non sarebbe male se nella nuova sede si trovasse modo di ricordare almeno alcuni fra i tanti dipendenti che dedicarono la loro vita— l’espressione, in questo caso, non è usata a sproposito— aordinare, schedare, aggiornare, custodire e recuperare la sterminata mole di documenti che quotidianamente negli archivi approdava. Anche perché diversi di loro, non dimentichiamolo, divennero veri e propri bracci destri per alcuni fra i più celebrati professionisti del giornalismo italiano.