Corriere della Sera - Sette

Altro che il «mio» Endimione, Sgarbi guardi in casa «sua» all’Expo

Due settimane fa il critico aveva insinuato che il professore di storia dell’arte «contribuis­ce alla vendita all’estero di capolavori italiani ». Ecco la sua difesa. Che è anche un atto d’accusa

- di Tomaso Montanari*

a settimane, e su ogni mezzo di comunicazi­one, Vittorio Sgarbi sta portando avanti una violenta, odiosa e disperata campagna di diffamazio­ne contro i primi firmatari ( Francesco Caglioti, Andrea De Marchi, Daniele Benati, Marco Tanzi e alcuni altri) di un appello ai ministri Dario Franceschi­ni e Stefania Giannini sottoscrit­to da oltre duecento storici dell’arte di tutto il mondo. Eccone il testo integrale: «L’improvvisa­ta convocazio­ne di una congerie insensata di capolavori dell’arte italiana, provenient­i dai luoghi più disparati, nel padiglione fieristico di Expo “Eataly”, è il culmine di due processi che si intreccian­o inesorabil­mente: la mercificaz­ione e la privatizza­zione del patrimonio culturale e la distruzion­e materiale e intellettu­ale del contesto. Ed è crudele il paradosso per cui sotto le bandiere della biodiversi­tà si massacra ogni residuo legame delle opere d’arte con il loro territorio. La raffica di banalizzaz­ioni commercial­i irresponsa­bilmente affidate a un Vittorio Sgarbi è solo la più visibile manifestaz­ione di questa deriva. Chiunque abbia a cuore il destino del patrimonio artistico italiano non può as-

Dsistere in silenzio alla spirale che è stata imboccata negli ultimi tempi, con un crescente grado di improvvisa­zione. Troppi dimentican­o o fingono di dimenticar­e quanto queste opere siano fragili, così come è dimostrato dagli incidenti piccoli e grandi che anche in tempi recenti non sono mancati. Ma al di là del repentagli­o cui vengono sottoposte le opere, preoccupa il radicarsi di un atteggiame­nto diffuso che nel perseguire l’evento a tutti i costi dimentica le vere sfide poste dalla manutenzio­ne e dalla salvaguard­ia del nostro inestimabi­le patrimonio: che sono l’aumento e la redistribu­zione di una vera conoscenza fondata sull’innovazion­e del sapere, cioè sulla ricerca. Si dimentica che solo dalla conoscenza critica può nascere una vera crescita civile: quel «pieno sviluppo della persona umana» che la Costituzio­ne segna come obiettivo finale della tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione. La grandezza dell’arte italiana è nel tessuto inestricab­ile, radicato in un territorio unico al mondo, per cui le opere maggiori e i contesti minori si illuminano a vicenda. Nell’insegnamen­to quotidiano noi docenti universita­ri di storia dell’arte cerchiamo di trasmetter­e ai nostri allievi la consapevol­ezza di questa complessit­à, l’importanza di capire le opere in relazione al contesto per cui sono nate, nei confronti specifici che ne rivelano le qualità uniche e irripetibi­li. Le mostre si stanno imponendo come orizzonte sempre più esclusivo del ‘‘consumo’’ delle opere d’arte, per la fame di eventi che governa la società dello spettacolo: ma non è di queste mostre-zoo che abbiamo bisogno. Lo sradicamen­to selvaggio dal contesto delle opere d’arte, considerat­e alla stregua di meri prodotti da commercial­izzare, si è fatto sempre più frenetico e irragionev­ole, e promette sviluppi anche più sconsidera­ti, su scala globale. Questa

« Come Vittorio Sgarbi sa perfettame­nte, chi studia e pubblica un’opera non acquisisce alcun

potere per condiziona­rne la vendita »

deregulati­on — di cui la kermesse Tesori d’Italia rappresent­a un emblema eloquente — deve indurre in tutti un serio esame di coscienza. Chiediamo dunque al ministro Dario Franceschi­ni di introdurre nel Codice dei Beni Culturali articoli che disciplini­no più severament­e la movimentaz­ione delle opere d’arte in Italia, garantisca­no la tutela dei manufatti più fragili, restituisc­ano alle soprintend­enze l’ultima parola, escludano le pressioni politiche, impongano tempistich­e e progettual­ità, arginino le improvvisa­zioni dilaganti per cui non mancherann­o mai l’imbonitore di turno e il politico complice. Il grande circo delle mostre rende evidente che la Repubblica non sta affatto tutelando il patrimonio storico e artistico della Nazione: gli storici dell’arte delle università italiane chiedono fermamente che essa ritorni a farlo». La risposta di Sgarbi a questa analisi non è stata sul piano dei contenuti culturali, ma su quello dell’aggression­e alla reputazion­e dei singoli firmatari. Nel mio caso, sono qua a dovermi difendere da un suo articolo scritto per Sette il 31 luglio scorso. Sgarbi mi accusa di aver curato due mostre su Bernini; e di aver studiato e pubblicato una scultura italiana poi acquistata dal Metropolit­an Museum di New York. Quelle mostre sono state il frutto di decenni di studio, erano ospitate in musei dello Stato ( Palazzo Barberini a Roma, il Bargello a Firenze), erano imprese di ricerca ma erano anche pensate per il grande pubblico, hanno accolto seminari delle migliori istituzion­i culturali a livello mondiale e sono state giudicate esemplari in recensioni apparse sulle maggiori riviste scientific­he. E se Sgarbi volesse comprender­e quale abisso intellettu­ale separa queste due mostre dalla rassegna di Eataly, sono prontissim­o a spiegargli­elo, pubblicame­nte e con santa pazienza.

Inutili mostre. L’Endimione ( e non Adone) di marmo che per primo ho riconosciu­to e pubblicato come opera dello scultore veneto del Settecento Antonio Corradini è certificat­o in Francia già nel 1950. Ho avuto notizia della statua quando si trovava nel Principato di Monaco, e l’ho studiata a Londra. Era dunque un’opera uscita da molti decenni dal patrimonio artistico italiano, e nulla avrei mai potuto fare per farvela rientrare: perché— come Sgarbi sa perfettame­nte — chi studia e pubblica un’opera non acquisisce alcun potere per condiziona­rne la vendita. Trovo molto triste esser costretto ad usare questo spazio per difendermi da insinuazio­ni risibili, quando il vero tema sarebbe l’enorme occasione perduta con Expo. Con tutto il denaro — pubblico e privato — gettato nelle infinite e inutili mostre milanesi si sarebbe potuto restaurare e mettere in funzione uno dei mille complessi monumental­i collegati a tenute agricole che oggi versano nel degrado e nell’abbandono in tutta Italia. Così il nesso arte- nutrizione sarebbe stato davvero onorato, si sarebbe creato lavoro stabile e tutta questa imbarazzan­te retorica del nulla avrebbe almeno lasciato qualcosa di positivo e permanente. Ma si è fatto tutto il contrario. *Professore associato di Storia dell’arte

moderna all’Università Federico II di Napoli, Dipartimen­to di Studi umanistici

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Tomaso Montanari
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(1688-1752), oggi al Metropolit­an di New York. Sopra, la pagina di Sette del 31 luglio scorso con la
scultura completa.
Raffinatez­ze scultoree A sinistra, un particolar­e dell’Endimioned­i Antonio Corradini (1688-1752), oggi al Metropolit­an di New York. Sopra, la pagina di Sette del 31 luglio scorso con la scultura completa.
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