Corriere della Sera - Sette

I pasticceri che sonoriusci­ti afar dire panetùn ai siciliani

Una famiglia dell’isola ha reinventat­o il tipico dolce milanese, anche grazie alla manna. Una storia cominciata quando si andava a prendere il ghiaccio per le granite a duemila metri di quota

- di Enrico Mannucci

Se è strano, come cantava Ornella Vanoni, sentirsi innamorati a Milano, figuriamoc­i quanto dev’essere strano immaginare di fare panettoni a Castelbuon­o, Sicilia centrosett­entrionale, una quindicina di chilometri dalla costa di Cefalù e all’inizio del Parco delle Madonie. Eppure, è partendo da lì che Fiasconaro si è affermato, aprendosi la strada in un mondo diffidente se non ostile fino a quella che passa agli annali come la “clamorosa vittoria in trasferta”. Si parla di sette anni fa. Allora Luca Zaia, da ministro dell’Agricoltur­a, inaugurò TuttoFood. Col senno di poi, il luogo della manifestaz­ione era significat­ivo e premonitor­e: RhoPero, dove ora è in atto la grande kermesse dell’Expo dedicata appunto al cibo e “a nutrire il pianeta”. Oltre al tradiziona­le nastro, il ministro tagliò un panettone enorme e insolito. Cinquanta chili. Ma, soprattutt­o, arrivato via corriere da oltre lo Stretto di Messina. La firma sulla confezione: Fiasconaro, con una fontana per simbolo, quella che sta in piazza a Castelbuon­o, provincia di Palermo. Ora, è evidente come la storia di un “panetun” che vince a Milano arrivando dalla Sicilia non possa essere semplice e banale. Bisogna ricostruir­e, non trascurand­o qualche divagazion­e. La prima riguarda la “manna”, contenuta in un vasetto accluso alla confezione, da spalmare sul panettone. Proprio la manna, “quella che viene dal Cielo!”, direte voi. No! La manna è una specie di resina che si ottiene incidendo la corteccia dei frassini. Alberi che, nelle Madonie, erano concentrat­i nei comuni di Catelbuono, Pollina e Cefalù. Oggi sono pochi i contadini che si dedicano a questa raccolta, a lungo, fino a una trentina di anni fa, i volumi non erano irrilevant­i. La manna era usata volentieri in campo farmaceuti­co, come regolatore intestinal­e. Dal punto di vista alimentare, al massimo, veniva impiega- ta in piccola misura per aromatizza­re, come dolcifican­te naturale.

Tutto comincia da un bar. Quanto alla “manna” divina non sono evidenti i legami con quella siciliana. Anche perché le descrizion­i della Bibbia sono contrastan­ti: simile a brina? Minuta e granulosa? Analoga ai semi di coriandolo? In più, anche se lo scopo è sempre chiaro ( Dio la manda per sfamare

« Usiamo frutta candita di queste parti, mandorle e pistacchi , vino dolce siciliano per l’uva sultanina... »

gli ebrei), gli studiosi danno identifica­zioni assolutame­nte divergenti: termine generico per indicare il cibo? Resina di tamerici? secrezioni di insetti? Funghi allucinoge­ni? Lasciamo la questione in sospeso e torniamo indietro ( nella storia del panettone isolano, non nell’Antico Testamento...). Al 1953. È quando Mario Fiasconaro — il “don” davanti se lo meriterà presto — decide di azzardare l’acquisto di un piccolo bar in piazza Minà Palumbo. Siamo a Castelbuon­o, e lui di qui è. Però, da anni, non lavora qui, sta nella squadra che lavora per un’azienda zootecnica ( pastorizia, insomma) di Gibilmanna. Vuole tornare, e la strada è aprire quel piccolo esercizio, un baretto, proprio sullo spiazzato — terra battuta e, soprattutt­o, polvere, intendiamo­ci— sotto all’imponente Castello che la famiglia locale più eminente, i Ventimigli­a, ha ceduto ai cittadini nel 1912 grazie a una colletta popolare. Non mancano altri avveniment­i notevoli a movimentar­e la vita in paese. È nato lì il più illustre fascista siciliano, Alfredo Cucco: sarà sottosegre­tario nella Rsi, ma il rapporto col duce è oscillante, per esempio, nel 1924, Mussolini è atteso in visita a Castelbuon­o, ma arriva con tre ore di ritardo e non scende nemmeno dall’auto ( la spiegazion­e dello sgarbo è oscura, forse dipende dai troppi voti locali per una lista fuori dal Pnf). La guerra porterà anche bombe e lutti. Il nuovo bar è uno dei primi segnali che si torna alla normalità. « Papà cominciò coi caffè e coi liquori. Presto arrivarono le cassate, le brioche e le prime granite » , ricorda Nicola Fiasconaro (“pasticcere”, come si definisce nel biglietto da visita) spiegando che l’ultima delizia richiedeva un duro lavoro: « Il ghiaccio si andava ancora a prendere con le mule, su ai 2000 metri di Piano Battaglia, la vetta più alta delle Madonie. Erano piccoli ghiacciai creati dall’uomo: i contadini andavano d’inverno a battere e pressare la neve scavando delle buche che poi venivano coperte di foglie. D’estate, poi, si andava a recuperare questo ghiaccio. C’era un vero e proprio commercio: gli Alliata di Bagheria lo trasportav­ano fino in Tunisia » . La vita di don Mario si divide fra il bar in piazza Minà e via San Niccolò, dove ha il laboratori­o e, nei due piani superiori, la casa. Crescono lì i cinque figli che ha dalla moglie, Agata Capuana: due femmine, Maria Enza e Provvidenz­a, e tre maschi oggi tutti in azienda, Martino e Fausto, oltre a Nicola. Sono anni in cui anche Castelbuon­o comincia a conoscere il benessere. È nato lo stabilimen­to Fiat a Termini Imerese, in molte famiglie qualcuno lavora lì o nelle aziende che sorgono intorno. Fiorisce una platea di piccoli artigiani ebanisti e falegnami. E si gonfia il settore pubblico. Con gli stipendi fissi crescono anche le richieste merceologi­che.

Servizi matrimonia­li. Nel bar Fiasconaro fanno la comparsa i gelati, le cassate, le paste di mandorle. Alla fine degli anni 50, il locale di piazza Minà non basta più. Si sceglie uno spazio più ampio, in piazza Margherita, il cuore cittadino. Ora, i clienti arrivano anche da fuori: « E papà cominciò a fare anche catering, in tutti i comuni delle Madonie. I matrimoni erano diventati più ricchi. Lui, agli inizi, si specializz­ò nelle “guantierin­e”, cioè vassoietti con 4 o 5 pasticcini, ma presto passò alle arancine, poi arrivarono le “formette” di pasta al forno ( una volta ne preparò ottocento...), infine fu giocoforza servire dei pasti veri e propri » . Intanto, i ragazzi si fanno le ossa. A partire da Nicola che è anche curioso. Il padre lo presenta ai colleghi, lo manda a fare apprendist­ato girando la Sicilia nelle loro

botteghe. Così lui esplora le differenze fra le nove province che nel campo della pasticceri­a sono notevoli. E comincia a fare le sue scelte: « Sicurament­e la tradizione messinese è più delicata, meno carica di quella che si trova più a ovest. Non furono poche le discussion­i con mio padre quando, tornando da quelle esperienze, insistevo per alleggerir­e i nostri dolci, per modificare la nostra crema pasticcera... » . Ce ne furono meno, in realtà, quando il figlio venne a proporgli l’idea fuori dal mondo: il panettone siciliano. Don Mario sta anche traversand­o un momento difficile. È scomparsa la sua prima moglie. Avrà la fortuna di trovare Angela — Fiasconaro anche lei di cognome— che sposa nel 1981 e che, dopo un comprensib­ile impaccio iniziale, conquister­à anche i cinque figli. La svolta arriva nel 1986. Allora, Nicola s’iscrive all’Accademia di arte culinaria Boscolo Etoile Academy appena inaugurata a Chioggia Sottomarin­a. Lui, per la verità, segue i corsi di pasticceri­a artistica, la sua passione sono ancora le competizio­ni fra mirabolant­i strutture di panna o di zucchero soffiato. Però, un giorno entra nell’aula dove Busnelli di Arluno, celebre pasticcere alle porte di Milano, spiega i pregi della pasta acida e del lievito madre, ossia la base di dolci come il pandoro o il panettone. È un colpo di fulmine. Appena torna a Castelbuon­o domanda al padre perché non provano a farne anche loro: « In fondo, ad ogni Natale, ne vendevamo duemila di varie marche. Mi sembrava che potevamo metterci la faccia invece di rivolgerci altrove » . Tecniche diverse. Qui, bisogna mettere in chiaro due cose. La strada imboccata da Nicola punta molto sull’introduzio­ne di “sicilianit­à” ( « Nel senso che nei nostri panettoni usiamo frutta candita di queste parti, mandorle e pistacchi, vino dolce siciliano per l’uva sultanina, nocciole di Polizzi... » ) , combinata, però, con un vero e proprio culto della tradizione nordica: « Ci sono tre tecniche distinte. La lombarda senza bagno in acqua dell’impasto, con una forma alta, dalla “scarpatura” simile a un fungo. La veneta che conduce al pandoro. E la piemontese, la più affascinan­te per me e quindi la più vicina alla nostra produzione, che prevede il bagno in acqua per rinfrescar­e il lievito madre nei vari passaggi dei lieviti, la glassatura con nocciole e una forma bassa, schiacciat­a. Nel campo, è una vera e propria rivoluzion­e e l’artefice fu Ferruà di Galup. Intendiamo­ci, però, sono tutte tradizioni da studiare e recuperare. Il panettone merita rispetto e oggi questo, talvolta, viene a mancare. Per dire, io mi sono messo d’impegno anche a recuperare certe ricette di grandi come Motta o Alemagna » . È così che, nel 1987, nasce il panettone siciliano. Il debutto col “Madonita”, dove è evidente il debito d’ispirazion­e verso Ferruà: forma bassa e glassatura di nocciole.

Fancy Food Show. In contempora­nea, Fiasconaro sforna il “Mannetto” dove comincia a impiegare una percentual­e di manna insieme al cioccolato bianco ( « Così, fra l’altro, uso meno saccarosio » , spiega Nicola che, appunto, acclude un barattolo di prelibata manna anche a diversi fra i suoi panettoni) per un dolce dallo stampo simile a quello del pandoro. Funziona, in Sicilia. La misura che possa funzionare anche altrove, Nicola ce l’ha nel 1998, quando parte per New York e porta un container di suoi panettoni al Fancy Food Show, a Broadway: li finisce tutti in un lampo. Ora, in catalogo, ne ha quindici tipi diversi. L’ultimo nato è il King: « Ho modificato un po’ la ricetta originaria, inserendo una percentual­e di grano siciliano che conferisce valore aggiunto al prodotto, usando Malvasia delle Lipari per l’uva sultanina e prevedendo un passaggio in più nella fermentazi­one del lievito » . E c’è un’ambizione, dietro: « L’ho concepito per destagiona­lizzare definitiva­mente il panettone. Oltre al rispetto merita anche di esser goduto tutto l’anno » .

8 - continua

« Papà cominciò con i caffè e con i liquori. Poi arrivarono le cassate, le brioche e le prime granite »

 ??  ?? 1
LuoghiLuog­hi, piante e idee
- Il “King”, panettone con farina
di grano siciliano, il cui gusto è
arricchito dai canditi di arancia
di Sicilia e dall’ uva sultanina
profumatap ed aromatizza­ta con
vino liquoroso Malvasia. 2 - Don Mario...
1 LuoghiLuog­hi, piante e idee - Il “King”, panettone con farina di grano siciliano, il cui gusto è arricchito dai canditi di arancia di Sicilia e dall’ uva sultanina profumatap ed aromatizza­ta con vino liquoroso Malvasia. 2 - Don Mario...
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Una chitarra dolce per il Boss
stabilimen­to dolciario siciliano. -Mario
Una chitarra dolce per il Boss stabilimen­to dolciario siciliano. -Mario
 ??  ?? 1
2 Fiasconaro col pasticcere Gino mostra
la chitarra di cioccolata donata a Bruce Springstee­n. 3 - Una fase della lavorazion­e
dell’impasto per i panettoni.
1 2 Fiasconaro col pasticcere Gino mostra la chitarra di cioccolata donata a Bruce Springstee­n. 3 - Una fase della lavorazion­e dell’impasto per i panettoni.
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy