Quella strada che unisce Berlino a Mordor
La Germania post guerra rinasce, archiviando il ricordo nazista. Come la città di Tolkien si era liberata dagli orchi e dai cannibali
Nazione annichilita, annientata, rasa al suolo, la Germania del processo di Norimberga, che la romanziera e scrittrice di viaggi RebeccaWest racconta nel suo Serra con ciclamini, è finalmente una nazione demostrificata, come Mordor dopo la battaglia finale tra i Popoli Liberi e Sauròn, il Signore Oscuro, negli ultimi capitoli del Signore degli Anelli. Liberata dagli orchi e dai cannibali che l’hanno governata dal 1933 al 1945, è una Germania persino un po’ vittoriosa quella che s’accinge a pagare per i disumani e ripugnanti peccati del nazismo, i cui capi superstiti ( da Hermann Göring a Rudolf Hess, dall’ex pupillo di Hitler e futuro memorialista Albert Speer all’organizzatore del lavoro schiavistico Fritz Sauckel, dall’ideologo Alfred Rosenberg al banchiere Hjalmar Schacht) siedono da imputati sulle panche nel tribunale che non giudica soltanto i crimini di guerra ma— per la prima volta — anche i crimini contro l’umanità. Norimberga è la città dei grotteschi, spettacolari raduni nazisti degli anni Trenta; la città in cui Hitler aveva promulgato nel 1935 le leggi razziali ( le stesse leggi che il nostro Dux avrebbe imposto in copia carbone, tre anni più tardi, al popolo italiano). Ridotta in rovine, è stata fino a qualche tempo prima la Disneyland del Führer. Come scrive Rebecca West: « Un uomo che avesse venduto a una fiera medicine brevettate, e che nel tempo libero lavorasse come procuratore di aborti e indovino, se gli avessero dato il potere di costruire come voleva si sarebbe ricordato immagini già viste di templi egizi e di palazzi romani e, non ricordandoseli con sufficiente chiarezza, avrebbe ordinato simili costruzioni enormi, prive di carattere » . Della Germania di marmo, SS, luci saettanti nel cielo, Blitzkrieg, celebrazioni nietzschiane, camere a gas e cartapesta non resta più nulla. E non di meno i tedeschi — che stanno pagando il conto con la nazione occupata dagli eserciti alleati, con la rovina economica, con la campagna di stupri lanciata da Stalin nei territori occupati dall’Armata rossa — approvano la condanna dei capi nazisti, benché sia nel contempo anche la loro condanna, la condanna di tutto un popolo. Se la sono cercata, e lo sanno.
Una chiusa che si sta aprendo. Accolgono in silenzio, con una gioia che a un tedesco non è lecito esprimere, l’impiccagione dei luogotenenti dello psicopatico che ha governato per dieci anni la nazione, e che loro stessi hanno portato al potere votando la sua lista elettorale. Intanto lavorano alla ricostruzione, sull’esempio del “coltivatore di ciclamini” di cui scrive Rebecca West, un uomo « che vedeva se stesso semplicemente come un coltivatore di piante in vaso » , scampato al passato, gli occhi fissi sul presente e un po’ sul futuro della nazione. È di lui che l’autrice di Viaggio in Jugoslavia, un cult della letteratura di viaggio, torna a parlare in ciascuno dei tre reportage, scritti tra il 1946 e il 1954, che compongono Serra con ciclamini. Con largo anticipo su politici, storici e giornalisti, Rebecca West racconta una Germania che già nel 1946 si è lasciata le rovine della guerra e dell’ideologia alle spalle. Forse non è diventata, nemmeno col tempo e l’oblio delle antiche colpe, la più amabile e garbata delle nazioni. Ma è il paese dei ciclamini in vaso, che nella Germania del 1946, stretta in una chiusa, erano come « un rivoletto d’acqua » , a significare « che che la chiusa si stava aprendo » .