L’uomo che temeva le donne tutte assieme
Difese la legge che le obbligava a non indossare ori e gioielli. Lo riteneva un pericolo, specie se si consentiva loro di riunirsi in assemblea
Marco Porcio Catone, soprannominato il Censore, non era certamente un progressista. Nel momento della grande espansione di Roma, grazie alle conquiste nel Mediterraneo, egli si opponeva fermamente in Senato, a chi sosteneva la necessità di aprirsi ad attività e interessi culturali di ispirazione greca. Per lui, questi erano eticamente in contrasto con ilmos maiorum, i tradizionali, austeri costumi degli antenati. E tra le tante battaglie ne condusse una particolarmente significativa della sua mentalità, e in particolare delle sue opinioni sulle donne. Nel 215 a. C., in un momento di particolare difficoltà per Roma, un anno dopo la sconfitta di Canne e nel pieno della Seconda guerra punica, era stata approvata una legge ( la lex Oppia), che limitava il lusso e le spese ritenute esagerate delle donne. Più precisamente, la legge vietava alle donne di portare addosso più di mezza oncia d’oro, di indossare vesti di colori sgargianti e di circolare in carrozze a pariglie in città o nel raggio di un miglio da essa, se non per recarsi alle cerimonie religiose pubbliche. Senonché, vent’anni dopo, nel 195, i tribuni della plebe Marco Fundanio e Lucio Valerio proposero che venisse abrogata. Se lo fecero di propria iniziativa o su richiesta delle donne, come ritengono alcuni, non è dato sapere. Ma quel che è certo è che Catone si oppose fermamente, per non dire ferocemente, pronunziando un’orazione che è un con- centrato puro di misoginia: « La nostra libertà » , disse, « è stata vinta in casa dalla intemperanza delle donne, e ora è messa sotto i piedi e calpestata anche qui, nel Foro. Non essendo stati capaci di resistere singolarmente alle nostre donne, dobbiamo ora temerle tutte assieme » . Per convincere i suoi concittadini della gravità della situazione arrivò a evocare la storia delle abitanti dell’ isola di Lemno, donne temibilissime, che mangiavano carne cruda ( segno di assoluta barbarie) e che egli citò come ammonimento contro i rischi del femminile. Secondo il mito, infatti in una notte le Lemnie avevano sgozzato tutti gli uomini, imponendo un sistema matriarcale. La ragione? Vendicarsi dei mariti che le avevano tradite con giovani e piacenti schiave tracie. A dir la verità non senza ragione: avendo esse dimenticato di rendere i dovuti onori ad Afrodite, questa le aveva colpite con una insopportabile disosmia ( cattivo odore) che, comprensibilmente, aveva orientato gli uomini verso più gradevoli connubi. Secondo Catone il mito avrebbe dovuto indurre i suoi concittadini a pensar bene alle conseguenze della eventuale abrogazione della lex Oppia: « Io credevo » , disse « che la storia delle Lemnie fosse una favola. Ma non c’è nessun genere di esseri che non possa costituire un pericolo gravissimo, se gli si
consente di riunirsi in assemblea, consultarsi e decidere segretamente » . Gli esseri cui Catone alludeva erano le donne, che erano scese in piazza per sostenere la proposta dei tribuni, arrivando a ostacolare il suo cammino verso il Foro. Una umiliazione per tutti e un pericolo inaudito: alle donne, concluse, non bisogna concedere di essere pari agli uomini, perché « non appena avranno la parità ci comanderanno » ( extemplo simul pares esse coeperint, superiores erunt).
Un nuovo soggetto politico. Ma il tribuno Lucio Valerio la pensava diversamente. Pur essendo anch’egli convinto che pensare alla parità delle donne fosse semplicemente assurdo, riteneva che l’abrogazione della lex Oppia non solo non avrebbe messo in questione la subalternità femminile, ma l’ avrebbe rafforzata. Non sentendosi delle schiave, le donne sarebbero state più obbedienti e meno propense a intromettersi nelle decisioni maschili. E poi, aggiunse, « le donne non hanno né le magistrature, né i sacerdozi, né i trionfi, né le insegne, né il bottino di guerra: la loro gloria, le loro insegne sono le vesti, i gioielli e gli ornamenti » . Neanche Lucio Valerio era un gran progressista, a dir la verità, ma quantomeno era solidale con le donne. Ai tempi di più non si poteva pretendere. Come finì la storia? Con l’abrogazione della legge, certamente per merito in primo luogo dei tribuni proponenti; ma altrettanto certamente anche grazie al ruolo delle donne scese in piazza. Parlare di fem- minismo a questo proposito ( come pure qualcuno ha fatto) vorrebbe dire istituire un parallelo anacronistico, per non dire che sarebbe un vero e proprio errore. Ma certamente, per la prima volta, la donne si erano poste di fronte ai loro concittadini come un soggetto politico autonomo, che se non aveva un suo disegno generale aveva certamente una sua precisa posizione su specifici problemi e una sua autonoma volontà. È un momento da ricordare nella storia delle donne il dibattito sulla lex Oppia. E— sia consentito questo personalissimo commento— pensando alla umiliazione del povero Catone ignominiosamente sconfitto dalle donne è anche un momento di grande divertimento.
6 - continua