Sanità, un’eccellenza da ripensare
Il welfare sanitario europeo, risultato della nostra storia comune e della nostra cultura, si trova oggi di fronte a una grande sfida. E questo accade nonostante il successo del modello di Servizio sanitario in Italia e dei rispettivi servizi pubblici negli altri Paesi comunitari. Sono tutti modelli solidaristici: il nostro in particolare è mediamente eccellente ( anche se esistono isole di malgoverno locale, che rappresentano in ogni caso eccezioni). I grandi medici italiani, conosciuti in tutto il mondo, rappresentano l’orgoglio della nostra scienza e dei nostri policlinici universitari. In merito però alla tutela della salute delle fasce socialmente ed economicamente svantaggiate della popolazione, in Italia come in Europa ( e qui mi riferisco ai poveri e ai “nuovi poveri”, agli anziani, agli immigrati da Africa, Asia e Sudamerica) le difficoltà principali si incontrano nell’accesso ai servizi di base, con il conseguente ritardo nella diagnosi e nella successiva definizione delle terapia: questo provoca una diversità nell’erogazione dei servizi e una oggettiva difficoltà di applicazione degli standard minimi garantiti. Quando, nel lontanissimo 1978, quasi quarant’anni fa, Tina Anselmi firmò la riforma, il nostro Paese era ricco di giovani e di opportunità: ora ci si ammala di più a causa della senescenza della popolazione e della aspettativa di vita che è enormemente cresciuta. Anche la legge migliore ha bisogno di una messa a punto e la protezione della salute non può essere lasciata all’impegno di alcune nazioni ma deve marciare coordinando Europa, singole nazioni, regioni ed enti locali, coinvolgendo tutte le politiche e non solo quelle sanitarie.