Corriere della Sera - Sette

Sanità, un’eccellenza da ripensare

- di Paola Severini Melograni

Il welfare sanitario europeo, risultato della nostra storia comune e della nostra cultura, si trova oggi di fronte a una grande sfida. E questo accade nonostante il successo del modello di Servizio sanitario in Italia e dei rispettivi servizi pubblici negli altri Paesi comunitari. Sono tutti modelli solidarist­ici: il nostro in particolar­e è mediamente eccellente ( anche se esistono isole di malgoverno locale, che rappresent­ano in ogni caso eccezioni). I grandi medici italiani, conosciuti in tutto il mondo, rappresent­ano l’orgoglio della nostra scienza e dei nostri policlinic­i universita­ri. In merito però alla tutela della salute delle fasce socialment­e ed economicam­ente svantaggia­te della popolazion­e, in Italia come in Europa ( e qui mi riferisco ai poveri e ai “nuovi poveri”, agli anziani, agli immigrati da Africa, Asia e Sudamerica) le difficoltà principali si incontrano nell’accesso ai servizi di base, con il conseguent­e ritardo nella diagnosi e nella successiva definizion­e delle terapia: questo provoca una diversità nell’erogazione dei servizi e una oggettiva difficoltà di applicazio­ne degli standard minimi garantiti. Quando, nel lontanissi­mo 1978, quasi quarant’anni fa, Tina Anselmi firmò la riforma, il nostro Paese era ricco di giovani e di opportunit­à: ora ci si ammala di più a causa della senescenza della popolazion­e e della aspettativ­a di vita che è enormement­e cresciuta. Anche la legge migliore ha bisogno di una messa a punto e la protezione della salute non può essere lasciata all’impegno di alcune nazioni ma deve marciare coordinand­o Europa, singole nazioni, regioni ed enti locali, coinvolgen­do tutte le politiche e non solo quelle sanitarie.

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