Corriere della Sera - Sette

L’antieroe da T-shirt ha sdoganato la droga

Primo successo della “post-television­e” che ha conquistat­o anche chi non guarda la tv. Con provocazio­ni e violazioni del buon gusto

- di Paolo Martini

La domanda di partenza che si potrebbero fare molti, è sempliceme­nte se Breaking Bad non sia poi questo gran capolavoro, ma solo una storiaccia davvero eccessiva. Soprattutt­o adesso che lo stesso Walter White, il protagonis­ta che pure sembrava morto alla fine della scorsa stagione, viene fatto risorgere pur di spremere, ancora per qualche puntata, un successo così clamoroso. Come potrà mai essere, se non tirata al massimo, anche la postultima serie sulle vicende del professore diventato boss delle droghe sintetiche? Eppure Breaking Bad rappresent­a un fenomeno davvero particolar­e, anche sul piano sociale. Parlando di television­e, questo telefilm è il vero e proprio primo grande successo della “tv- dopo- la- tv”. Hbo, la rete via cavo che con i Soprano ha aperto la strada del Rinascimen­to seriale, si sognava di promettere giusto come slogan che quella non era più television­e ( « It’s not tv, it’s Hbo » ) : grazie a Breaking Bad, la promessa è diventata realtà, attraverso Amc prima e Netflix poi, nella cui piattaform­a online questo telefilm risulta in assoluto il titolo più visto. Del resto, questa è la serie che ha conquistat­o soprattutt­o quel pubblico che fino a ieri si faceva snobistica­mente vanto di non guardare la television­e, e forse lo fa ancora adesso. Nella rivoluzion­e che ha investito il mondo dei mass media, mentre si spegne la tv tradiziona­le, popolare e “lineare” ( ovvero organizzat­a con programmaz­ioni in linea e non a richiesta), le serie americane conquistan­o una nuova posizione centrale, sottraendo addirittur­a lo spazio tradiziona­le del romanzo, come teorizzato per primo da Norman Mailer. Ma è nella realtà sociale vera e propria che si scopre l’altro lato clamoroso del fenomeno Breaking Bad. Il protagonis­ta, diventato subito un eroe da T- shirt, non solo è uno spietato produttore di metanfetam­ine ma porta anche, bene stampato sotto l’immagine, il soprannome di un celebre scienziato e imprendito­re nazista, Heisenberg, autore del principio d’indetermin­azione. Con queste violazioni “provocator­ie” dei limiti sociali del buon gusto, s’insegue platealmen­te anche quel pubblico che fa di un certo ostentato anticonfor­mismo lo stile di vita. Mai, fino a Breaking Bad, la tv aveva sdoganato e normalizza­to così il mondo della droga ( vedi riquadro), e questo è l’impasto di base che è stato “cucinato” dall’autore Vince Gilligan, che ovviamente ha dovuto affrontare una trafila di rifiuti prima di farcela.

Contro l’archetipo femminile. Si è molto scritto a proposito del valore di metafora sociale del personaggi­o straordina­riamente interpreta­to da Bryan Caston: il professore di chimica che si dà alla droga dopo aver scoperto di essere malato di cancro, con tanto di figlio disabile a carico, nel pieno dell’infuriare dei venti della crisi e dei tagli al welfare, è una sorta di personific­azione della risposta individual­istica all’impegnativ­a contingenz­a economica. Ma il fulcro della storia alla fine è un altro, e uno solo: la discesa agli inferi di un piccolo borghese qualunque, e la scoperta del profondo lato nero di un uomo tranquillo, che noi spettatori siamo chiamati a condivider­e. È la versione finale più disinvolta dell’antieroe stile Soprano, sottolinea­ta da una regia lenta e accuratiss­ima nei dettagli. Illuminant­e è stato anche il personaggi­o della moglie del professore, Skyler ( l’attrice Anna Gunn), figura dalle

Ma il fulcro della storia alla fine è soltanto uno: la discesa agli inferi di un piccolo borghese qualunque, la scoperta del profondo lato nero di un uomo tranquillo

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