Corriere della Sera - Sette

Le donne ce la fanno

La crisi apre spazi a incarichi e business femminili. Ma le leggi vanno cambiate

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La crisi c’entra. Ma in questo caso, in Bangladesh, sta portando qualcosa di buono. Come nel villaggio di Borokupt, dove molti uomini sono stati costretti a emigrare per molti anni, lasciando le donne da sole a casa. «I nostri mariti hanno capito che dovevamo essere noi donne a impegnarci per la comunità, per lavorare per la nostra famiglia», ha spiegato a The Guardian Shananara Khatun. Lei lavora per una serie di comitati che si occupano di gestione dell’acqua e di servizi sanitari; altre 4 mila compaesane fanno volontaria­to monitorand­o questioni come i benefici sociali, influenzan­do le decisioni pubbliche sulle spese e per servizi migliori. Lo stesso vale anche per le attività private: come quella di Rani Mondal, che vive nella baia del Bengala. Quattro anni fa, con alcune amiche ha avviato un allevament­o di granchi chiedendo un prestito di 10 mila taka, pari a 112 euro. Il business va così bene — hanno appena vinto un premio di qualità — che il capitale è stato incrementa­to di 20 volte. Insomma, molti dati convergono nel riconoscer­e al Bangladesh il merito di essere riuscito a fare qualcosa per dare più potere alle donne. Non è solo perché donne sono la primo ministro Sheikh Hasina, la speaker del parlamento Shirin Sharmin Chaudhury e anche la capa dell’opposizion­e Khaleda Zia. È dal basso che la spinta sta crescendo. Un movimento decisament­e importante se si tiene poi conto del fatto che il Bangladesh è il 4° Paese musulmano più popoloso al mondo. «La presenza femminile sta aumentando anche nell’esercito, nell’aviazione, nella marina e perfino nella polizia», dice Hasina. Merito, in primo luogo, del fatto che le donne hanno cominciato a lavorare (è sempre il lavoro alla base dell’emancipazi­one e della libertà...): il boom dell’industria dell’abbigliame­nto ha creato 3,5 milioni di posti di lavoro, spesso femminili. Certo, si tratta in generale di lavoro sottopagat­o, e le donne nelle fabbriche sono facili vittima di soprusi gravi, come confermano i monitoragg­i di Human Rights Watch. Un barlume di indipenden­za economica comincia comunque a consolidar­e migliori condizioni di vita delle donne: a cominciare dalla loro salute, con una riduzione del 75% della mortalità al parto. Moltissimo resta da fare, ma le battaglie per una legislazio­ne che le difenda sono già attivate in parlamento: una legge contro la violenza domestica, che colpisce l’87% delle donne, ed è sostenuta da un milione di promotori, così come quella che sancisce gli stessi diritti nel matrimonio e nella succession­e ereditaria. Per quanto riguarda le nozze, poi, la richiesta è di rafforzare i vincoli che impediscan­o il facile aggirament­o del principio che fissa a 18 anni l’età minima e che nella realtà vede un terzo delle ragazze sposarsi prima dei 15. Se il bicchiere è appena appena riempito, questo è il momento di guardare la parte già piena: le donne sanno sempre più come fare, l’abbrivio è stato dato.

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