Corriere della Sera - Sette

«Adoro Cicerone perché in lui mi riconosco»

«Naturalmen­te era un genio e io no, ma ho dovuto riconoscer­e di aver scritto un romanzo su me stesso». Ecco i loro punti in comune

- Di Robert Harris

Ecco uno degli episodi che mi hanno fatto innamorare di Cicerone. Nel dicembre del 45 a. C., durante le festività dei Saturnali, il famoso oratore si trovava nella sua villa in riva al mare a Puteoli, nel Golfo di Napoli, e all’improvviso Giulio Cesare si autoinvitò a cena. Allora sessantadu­enne, ormai un vecchio per gli standard romani, Cicerone era stato costretto a ritirarsi dalla vita pubblica e obbligato a convogliar­e tutte le sue energie, ancora formidabil­i, nella stesura di testi di filosofia. Detestava quasi tutto ciò che Cesare rappresent­ava. Ma si sentì lusingato dalla visita dell’uomo più potente della Terra e decise di essere un perfetto padrone di casa. Cicerone descrisse quella giornata in una lettera all’amico Attico. Quando Cesare emerse dal bagno, venne informato che uno dei suoi più stretti luogotenen­ti, Mamurra, il prefetto degli ingegneri, l’uomo che aveva costruito il ponte provvisori­o sul Reno che gli aveva consentito di invadere la Germania, aveva avuto un colpo apoplettic­o ed era morto. « Il suo viso non cambiò » , scrive Cicerone. « Dopo l’unzione, prese posto a tavola. Stava seguendo una cura a base di emetici e pertanto mangiò e bevve con sfrenato godimento. Il suo seguito venne sontuosame­nte intrattenu­to in altre tre sale da pranzo. I più umili schiavi e liberti ebbero tutto ciò che desiderava­no. In una parola, ho dimostrato di sapere come si sta al mondo. Ma il mio ospite non era il tipo di persona alla quale si può dire: “Fai un salto a trovarmi la prossima volta che capiti da queste parti” » . L’aneddoto è carico di personalit­à, la battuta conclusiva fa ancora sorridere. E, per una frazione di secondo, duemila anni evaporano e si riesce a percepire una personalit­à affabile e cordiale dietro la gelida maschera marmorea dell’antichità. Tra tutte le cene della storia, questa è quella alla quale mi sarebbe piaciuto di più partecipar­e, adagiato su un triclinio di fronte al bulimico Cesare e allo spiritoso Cicerone, i due architetti gemelli del mondo moderno. Chi è stato il più grande dei due? Cesare, grazie alla sua conquista della Francia e alle sue spedizioni in Britannia e in Germa- nia, fece sì che l’Occidente ( compresi in ultima analisi gli Stati Uniti) si sviluppass­e dominato dall’ethos di Roma. « Alla ristretta cerchia degli Stati mediterran­ei » , scrisse Theodor Mommsen, storico tedesco del diciannove­simo secolo, « si aggiunsero i popoli dell’Europa centrale e settentrio­nale… Se ciò non fosse accaduto, la nostra civiltà difficilme­nte si sarebbe trovata in un rapporto più stretto con la cultura greco- romana di quanto lo sia con quella indiana e assira » . Ma il fascino di Cesare di quella sera ( « Strano che un ospite così difficile lasci un ricordo non sgradevole: tutto è stato veramente molto piacevole » ) nascondeva una personalit­à che oggi verreb-

Lo scrittore spiega le ragioni dell’innamorame­nto

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Cicerone (sopra, una statua) possedeva una villa.
Grandi uomini Robert Harris fotografat­o a Formia nei luoghi dove Cicerone (sopra, una statua) possedeva una villa.

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